Cerca in Lettere agli Amanti

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venerdì 22 novembre 2013

Ordinatamente

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
 

"Sono passati molti mesi, ora è il tempo giusto, per chiedersi e rispondere. Io di domande, durante questo periodo lunghissimo, alle mia anima sfracellatasi con te, non ne ho fatte. Ho voluto prima curarla, risparmiandole l’ulteriore dolore di cercare le risposte. Anche perché di risposte da darle non ne avevo. Dunque ho taciuto e l’ho distratta, raccontandole fiabe e poesie o tutt’al più chiedendole di aspettare in perfetto silenzio. Il dolore urlato è inutile. Il dolore, per avere speranza di guarire, va sparso ai piani bassi, come una polvere che i pensieri soffiano piano, su, su, fino alle narici, fino al cervello, che è il posto giusto per il dolore. All’interno della mia esistenza, tu non avevi speranza di entrare. Ogni cassetto conteneva ordinatamente i pezzi della mia vita.

Ordinatamente è l’avverbio che la descrive con ossessiva precisione.

Banale è l’amore che scoppia improvviso.

lunedì 4 novembre 2013

Alla mia M.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
 
"Decise di chiuderla definitivamente.
Prese una busta capiente e radunò tutte le cose che gli appartenevano.
La prima idea fu quella di gettarle in un cassonetto, ma si rese conto che le serviva più tempo per un gesto di tale durezza.
Così si trovò a sfiorare per l'ultima volta oggetti e ricordi.
Dispose sul fondo di plastica le opere di Eduardo, non prima di aver riletto accuratamente la dedica a inizio pagina.
Alla mia M.
Ricordò quanto effetto le fece sentirsi attribuito quell'aggettivo possessivo.
Sopra il libro posizionò gli anfibi. Un dono senza pretesto cui ancora non riusciva ad attribuire un significato.

venerdì 25 ottobre 2013

C'era una volta

Riceviamo e volentieri pubblichiamo. Ci scusiamo con chi ci ha inviato altri contributi: con calma pubblicheremo tutto.
 
"C'è e ci sarà sempre un solo uomo nella mia vita, forte come la roccia ma allo stesso tempo fragile come il vetro. E sono qui oggi per raccontarvi della nostra storia. Ci siamo conosciuti il 10 novembre 1998, lui indossava un camice verde che tiene ancora conservato come un lingotto d'oro nel suo armadio. Da quel giorno, non mi ha mai tradita. Sai quell'amore che ti toglie il respiro? Che ogni volta che ci litighi ci stai male? Che non vedi l'ora di vederlo nonostante tu sia sempre scontrosa con lui, acida, insopportabile. Lui è quella persona che ogni volta che cadi ti porge la mano per tirarti su. Che nonostante tu gli porti continui dolori e amarezze, lui è sempre con il sorriso stampato in volto. È alto, secco ma non troppo. Ha le mie stesse labbra, quando ero piccola infatti mentre ci lavavamo davanti allo specchio io ci guardavo e gli dicevo "mettiamoci vicini, guarda, abbiamo lo stesso sorriso."

giovedì 5 settembre 2013

Luce, quarta parte

 
 
Pronto?”
“Sì.”
“Neanche ciao?”
“Ciao. Dove sei?”
“Lo sai.”
“Speravo avessi cambiato idea.”
“Quando?”
“Non lo so. Sul treno.”
“No, non ho cambiato…”
“Speravo che fossi sceso alla fermata prima, o a Firenze, addirittura, o a quella dopo.”
“No, non…”
“Ma tu sei uno forte, no? Devi dimostrare di avere le palle.”
“Non devo…”
“Che poi è sempre stato il tuo problema.”
“Può darsi.”
“Sai che c’è? Così dimostri solo che non ce le hai, le palle.”
“Eli, non…”

venerdì 12 luglio 2013

Luce, terza parte

 
Mi domando se in effetti tutto venga contagiato dalla mia esperienza, dai miei desideri, da quello che ritengo essere il mio destino. Vedo un uomo anziano ed egli è logicamente connesso alle pratiche della clinica di fronte all'albergo dove soggiorniamo. Perché è in evidente difficoltà? Perché viene amorosamente custodito da una creatura così più giovane di lui? Perché potrei essere lì per la stessa ragione?
Guardiamo il mondo come se tutte le vicende che in esso avvengono fossero parte della nostra autobiografia, come se nulla potesse sorprenderci davvero. L'entità del nostro stupore è direttamente proporzionale al tempo della nostra capacità di prevederlo: più breve sarà, più grande avvertiremo la meraviglia, o lo sgomento, o l'orrore. Ma quel tempo resterà sempre, per quanto microscopico, quasi innavertibile. Prevediamo, instancabili, mal tollerando il caso che si frappone così spesso fra noi e le nostre previsioni. Facciamo progetti, a breve, medio e lungo termine, come se questo gesto avesse un senso. È probabilmente la nostra mortalità che ci spinge a ricercare una qualunque capacità d'incidere sul reale. Sappiamo bene qual'è la fine della storia. Crediamo, quindi, di poter influenzare lo svolgimento della trama.

venerdì 5 luglio 2013

Luce, seconda parte

Perdonate il ritardo, riaccadrà, ma è un racconto difficile, complesso, che mi richiede una grande concentrazione. Spero di essere in grado di terminarlo.
 
Non mi sembra di averla vista entrare. Quindi, quando la trovo seduta al tavolo accanto alla grande vetrata sulla strada ho l'impressione sia apparsa. Non l'ho vista sulla porta della sala della colazione, guardare incerta e azzurra scegliere il miglior posto per iniziare la giornata, non l'ho seguita sistemare con cura la propria sedia e quella di chi, sono sicuro, aspetta che consumi con lei il primo pasto. Marito? Fidanzato? Amica? Compagna? Non l'ho vista scegliere accuratamente i cereali, lo yogurt, delle prugne, tutti accuratamente disposti nelle piccole coppe trasparenti dinanzi a lei e al suo ospite ancora invisibile. Ha cura di qualcuno, più di quella che ha per sé.
Azzurra, è tutta azzurra, compresi i capelli abbaglianti di un biondo posticcio che riflettono il colore dell'abito leggero, non completamente fuori stagione ma decisamente prematuro. Quella che ci mostrano le grandi vetrate della sala della colazione è non più di una speranza di primavera. Guardando con attenzione è facile seguire le minuscole persone affrettarsi giù in strada con giacche, cappotti, indumenti che smentiscono l'apparente calore del sole di maggio.
Non vedo il suo viso, coperto ai miei occhi dai capelli e da una lieve curvatura della schiena. Ha delle mani lunghe e giovani che maneggiano con pensosa fermezza gli oggetti sul tavolo, variandone di continuo la disposizione. Che tutto sia pronto, è il messaggio che tenta di rivolgersi, che tutto sia perfetto per l'arrivo di.

venerdì 21 giugno 2013

Luce, prima parte

Inizia oggi un'avventura letteraria nella quale spero di avervi accanto. A venerdì prossimo.
 
“È dolce veder la luce.
Non mi costringere a conoscere
quel che sottoterra giace.”
 
Euripide, Ifigenia in Aulide.
 
 
 
Non mi sembra di averla vista, appena arrivato. L’albergo è grande, gelido, efficiente. Giorni di sole invernale, il lago immobile davanti alla grande vetrata della sala colazione. Il buffet è essenziale, vagamente sciatto, come le cameriere. Tutti svolgono il proprio lavoro al limite della correttezza, ma senza alcuna passione.
 
La mancanza d’interesse è fondamentale, per me. Quando si è in fuga è necessario frequentare luoghi privi di curiosità e ambizioni, non importa se chi t’insegue sia una persona o un’istituzione o, ancor peggio, i tuoi mali. Sono certo di non voler sostenere nessuna conversazione su nessun argomento.
 
Ma le certezze e i desideri spesso si somigliano e si confondono, tanto che ci si trova a fare qualcosa che siamo certi che non desideriamo, solo perché è la nostra natura a prendere il sopravvento.
La mia è quella di un uomo che esplora instancabile le storie che vede formarsi, come vapore acqueo, attorno alle persone che incontra. Le vedo o le immagino e quindi trovo riscontro alle mie supposizioni parlando con i protagonisti di quelle storie.
Sono arrivato di notte, dopo un viaggio in treno. Sono sceso per caso in questa neutra cittadina di una nazione neutrale. Ho conservato solo la possibilità di parlare nella mia lingua, un’involontaria precauzione per non aumentare il mio smarrimento. Ho predisposto una serie di credibili risposte a chi mi domandasse il motivo del mio soggiorno, evitando che fossero totalmente insincere. Di menzogne, nella mia vita, ce ne sono e ce ne sarebbero state fin troppe.

venerdì 14 giugno 2013

Il mio arancio

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
 
"Un abbraccio intenso.
Uno sguardo dolce da quel balcone.
Sirene accese.
Buio.
Cosa resta? Foto, ricordi. Il tuo orologio da tasca.
Una sensazione che posso provare solo ad occhi chiusi, proprio come quando, chiudendo gli occhi in riva al mare, provi a immaginare cosa ci sia oltre.
Quelle tue mani grandi, da uomo che ha lavorato tutta la vita per costruire un futuro alle proprie figlie.
Calde, accoglienti. Mi avvolgono il viso e subito quell'odore d'arancio che mi inebria.
Buio.

sabato 8 giugno 2013

Esaustosauro saturo

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
 
"Saturo esausto saturo esausto saturoesaustosaturoesausto.
Provo a ripeterlo tante volte, ripetute tante volte le parole perdono senso.
Queste no. Sono parole cattive.
Forse solo quelle buone perdono senso.
Tiamo, sonofelice, noisiamodiversi, persempre.
Non serve neanche ripeterle, basta il tempo che passa, invecchiano con noi e quando le dici ti accorgi che non sono più luminose, come i capelli, i denti, la pelle.
Allora ci metti più entusiasmo, più energia, ti sforzi di farle brillare, o di vederle brillare.
Ma non funziona.
Le parole buone escono senza sforzo quando c'e l'amore, senza amore non sopravvivono che pochi istanti.
Le parole cattive invece aspettano che l'amore invecchi per ucciderlo definitivamente, quando è giovane riescono solo a ferirlo, ma sanno che il tempo è dalla loro, e aspettano,
pazienti.

venerdì 31 maggio 2013

Ma torno

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
 
"Amica mia com'e strana la vita.
Tu ti ci aggrappi, lui che la butta.
Tu, mia amica, moglie del mio amico, madre dell'amico di mio figlio.
Lui, mio fratello.
Lui che disprezza, tu che combatti.
Tu che, io lo so, non a te ma alla tua famiglia pensi, anche per loro hai forza.
Lui che, nella voragine della sua psiche malata, nel vuoto dell'alcool, delle sue famiglie se ne sbatte.
Entro in un'aula di giustizia, oggi, sempre la stessa, ma tu non ci sei. Una tua collega, amica, mi dice parole belle. Mi piace come parla di te, ne sa parlare. Ci scambiamo la tua assenza.
I fogli sul muro dell'aula, invece, non dicono bene di te e del tuo non esserci, sono bugiardi.

lunedì 20 maggio 2013

Lassù


Lo so, non sono uscito venerdì, ma in compenso ora vi tormenterò fino a venerdì prossimo con quello che vedete qui sopra. Concludiamo, per ora, l'esperienza di Non fidatevi delle parole con un'ultima azione spettacolare. Finora è andata bene oltre le nostre più rosee aspettative. "Lassù" è il gran finale.
Anche in questo caso, dopo aver acquistato il biglietto conservatelo con cura. Come quello di Tortuga, fra una settantina d'anni varrà il costo di un appartamento di medie dimensioni a Città Giardino o sulla faccia oscura della Luna, a scelta. So dell'esistenza di collezionisti che aspettano "Lassù" per avere tutti e quattro i biglietti della prima apparizione pubblica di LISA, serie che sarà ovviamente, di valore inestimabile. Sagaci investitori, mi viene da definirli.
Lassù ci sono due bambini che guardano noi giù.
Lassù, anche se fa male, tutto può finire bene
LISA con "Lassù" vi aspetta sabato 25 maggio, alle 21 e 30, a The Hub Roma, viale dello Scalo di San Lorenzo 67, con i piedi saldamente appoggiati sulle nuvole.
Potete prenotarvi dal sito killmelisa.com, o al numero +39.389.83.50.323.
 

venerdì 10 maggio 2013

Racconto ospedaliero delle due di notte

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
 
"Sono seduta nella quarta sedia di destra. Era libera anche la seconda a partire da sinistra, ma per scaramanzia non mi ci siedo più su quella.
Credo che mi metteró a fare, tra me e me, "il gioco dei malati" per ingannare il tempo. Inizio io.
Di fronte a me c'è una famiglia, madre, padre, una bimbetta particolarmente brutta. Non so che cosa o chi stiano aspettando, fin'ora sono solo rimasti seduti, in silenzio, ognuno con i propri pensieri e gli occhi gonfi di sonno. Nessun malato individuato, anche se potrei azzardare sul padre. Mi asterró per ora. Di fianco a loro, nelle sedie gialle, c'è una strana coppia. La ragazza è molto grossa, sudaticcia, e continua a scrivere al telefono in modo frenetico, senza alzare mai gli occhi dall'apparecchio. Non ha la fede ma quello alla sua sinistra dev'essere il compagno. A differenza sua è molto magro e ha una mano enorme e rossa. Ecco, l'ho beccato! È lui il malato. E uno.

venerdì 3 maggio 2013

LISA, Libere Iniziative Spettacolari Azzardate at The Hub

Questo per dire che state per assistere al debutto in società di LISA, Libere Iniziative Spettacolari Azzardate. Il 4 maggio sarà ricordato nei tempi dei tempi come la data cardine di un miracolo accaduto nell'epoca più oscura di questo Paese dal dopoguerra. "Incredibile", diranno gli storici, "che LISA sia nata nel 2013. "Che coraggio", aggiungeranno i più entusiasti, "Che culo", i più cinici, ed entrambi avranno ragione.
Volete rimanere nella Storia? Per un prezzo fra i 13 e i 7 euro potrete essere parte di uno di più importanti eventi del Terzo Millennio. 19 e 30 e 21 e 30 tutti i sabati di maggio a The Hub, viale dello Scalo di San Lorenzo, Roma. Il programma è qui sopra.
Conservate il biglietto, con quello che varrà i vostri figli potranno acquistare una casa di proprietà, niente di gigantesco, tre camere e doppi servizi in un quartiere semicentrale di una qualunque capitale europea.

Primo maggio, festa dei lavoratori.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

"Alla fine, steso sul letto, penso a lui.
Squilla il telefono. So bene che quella chiamata proviene dal suo numero, perché, anche se non lo ricordo, avverto inconsciamente il gesto che compie nel digitare il mio. L’orologio segna le tre e un quarto e io rispondo. La sua voce è molto più rauca dell’ultima volta, come se il tempo si fosse posato sulle sue corde vocali per non lasciarle più.

Papà?”
“Ciao, come stai?”

Sembra che quella telefonata faccia parte di una normale abitudine, un quotidiano contatto per avere notizie. Non è così.
Ogni vocale o consonante pronunciate dalla sua bocca hanno un oscuro peso di stanchezza e rassegnazione nei confronti della vita, degli altri, di se stesso.

“Ho sentito la mamma. Mi ha detto che non lavori da molto tempo.”

venerdì 26 aprile 2013

La figlia del giostraio

Siamo andati a prenderlo e volentieri pubblichiamo.
 
"La figlia del giostraio era cosa fina. Mi piaceva sta tipa.
Venivano dalla Camargue e c'avevano l'aria di chi non ha una casa ma ne ha tante sparse nell'anima.
Girava voce che rapissero i ragazzi e se li portassero con loro in giro per il mondo.
A me, l'idea di essere rapito mi stava bene, perchè avrei potuto stare senza algebra per tutto il tempo e vicino al corpo di Ninì, così la chiamavano in famiglia.
I miei mi dissero di stare in campana e così fecero anche i genitori dei miei amici. Il terrore degli zingari era ormai entrato in ogni angolo del mio quartiere.
Dice, già uno se la passa male co quattro soldi che prendi dalla fabbrica, poi mi devono rapire pure il figlio.
Ma io, niente! La capa non è mai stata bona.

venerdì 19 aprile 2013

Presidente della Repubblica Italiana, giugno 2064

Come tutte le invenzioni che cambiano radicalmente la vita umana, anche la BALLA (Baby Assistant Larger Learning App, per iOS 31.2 e Android "Jungle Fever") è scaturita casualmente.
Nei primi mesi del 2038 la signora Laura Casini Berlusconi D'Alema, coniugata Renzi, non riusciva in nessun modo a tranquillizzare, nottetempo, la sua Veronica, neonata nervosa e irrefrenabile. Casualmente, per l'appunto, una notte, stremata, portò con sé, distendendosi accanto alla pargola urlante, il proprio iPhone 14s, da cui non si separava mai.
Accidentalmente, le piccole dita della bambina azionarono un file audio contenuto nel device, il discorso d'insediamento che il suo trisavolo, Giorgio Napolitano, aveva pronunciato quel lontanissimo giorno di aprile in cui era stato rieletto Presidente della Repubblica Italiana.
Il sussurrare sospiroso dell'avo, peraltro ancora in carica, ormai ultracentenario, col settimo mandato presidenziale, aveva immediatamente acquietata la piccola, che, il giorno dopo, aveva iniziato a pronunciare, fra lo stupore generale, alcune parole chiave del discorso stesso, "favore", "trasversale", "parallelo" e, stranamente, "trombetta".

venerdì 12 aprile 2013

Mammina cara

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
 
"Ore 06.30 del mattino, Brahms. Meditazione. Dalla camera di fronte si sentono le voci di Pimpa e Armando.
Un pianoforte impazzito e la leggerezza del violino, poi l'entrata dei fiati, sinuosa, e poi... SBAM!
“Mamma, mamma! Si muove!”
“Cosa, tesoro”, gli rispondo, cercando di mantenere la concentrazione...
“Il dentino, un giorno di questi cade, lo so!”
“Fa vedere...”
Brahms continua ad aleggiare nell'aria, rende tutto così piccolo, intimo.
Do un'occhiata a quella bocca grande come un'arancia, il dentino in bilico è cariato, colpa dei troppi vizi che non si sanno negare ai figli in questo periodo di Pasqua.
“Quanti soldi mi porta il topino secondo te?”
Mi dice con la bocca semiaperta.

venerdì 5 aprile 2013

Più di voi

Un vecchio non ha nulla da perdere. Un bambino tutto. L'innocenza, per esempio. La credulità. La madre. L'assenza di ragione della bellezza. Spiegarsela sarà il suo compito ossessivo e irrisolvibile. Ne troverà soluzioni parziali, momentanee, che si sgretoleranno alla prima delusione o all'ultimo malanno.
Questo pensa guardando il bimbo nella carrozzina, in uno dei parchi dove i genitori consumano i propri sensi di colpa festivi.
Lei non ha bambini da condurre, ma non l'ha mai considerato un problema. La maternità le è sempre sembrato un dovere biologico più che una scelta. La sua affannosa ricerca con l'uomo che aveva ritenuto di amare l'aveva sfibrata, annichilita, finché anche il loro amore si era dissolto di fronte all'impossibilità di avere figli.
Come se fosse importante, pensa, come se non fosse colpevole, la maternità, della più grande tragedia: generare un essere perfetto, obbligato, per sopravvivere, a perdere la propria perfezione.
Si avvicina al bambino che dorme. Il padre sta giocando a palla con il figlio più grande, la madre è perduta a terra fra l'erba posticcia degl'inverni settentrionali. Lo guarda.

venerdì 29 marzo 2013

Per quanto la forma poetica sia imbarazzante

Noi
 
Ci mescoliamo con le canzoni del giorno e del buio
 
Mentre le ore passano con noi
 
E noi stessi siamo le ore.
 
Vediamo cose e persone della nostra età
 
Con la metà della nostra età
 
Con il doppio della nostra età
 
Vediamo cose che durano una sola notte
 
Che vivono con noi in questa notte.
 
 
Perduti nella luminosa onda del tempo
 
Procediamo lungo le nostre vite
 
Attraversando ponti fragili e immensi
 
Fatti di legno, carne o acciaio.
 
 
Verso l’amore che ci è necessario.
 

venerdì 22 marzo 2013

Occhi chiari, cuore nero

Non è di qui. Ha camminato tutto il giorno per cercare un lavoro qualunque. È pulito, un giubbotto caldo, i pantaloni neri senza una macchia, la sciarpa gli copre il collo. Non è di qui, abita da due anziani che ne hanno avuto pena e gli hanno dato la cameretta della figlia, che non c’è più, ormai, perché è sposata. Lontana. Non tornerà.
Sono stati contenti, alla signora anziana fa piacere al mattino vedere i suoi occhi azzurri per casa. Lui sempre zitto, ha sentito e ha imparato quello che diciamo. Ora parla, poco con i vecchi, che lo guardano come fosse un figlio perduto, ritrovato ma cambiato.
Sono poveri, e lui deve lavorare, ma l’hanno mandato via dal ristorante dove stava.
Non mangia più nessuno, vai via. Ecco la settimana. Trecento euro, quattordici ore al giorno tutti i giorni, senza riposo. Però, a pranzo gli davano una pizza che mangiava in cucina. Si rideva, anche, anche se lui non capiva gli scherzi degli altri, rideva, gli occhi azzurri facevano piacere a tutti, la faccia tonda metteva quasi allegria anche agli altri.
Gli anziani possono dargli la cameretta e la cena, niente altro. Lui finge di non avere perso il lavoro, e non torna a pranzo, sennò la signora vecchia si metterebbe a preparare anche per lui e loro sono poveri, tanto che l’ometto basso non potrebbe rimanere. Dovrebbero affittarla, la camera della figlia. Perché rischiano di non mangiare, gli ultimi giorni del mese.
Lui è scappato dal suo paese perché era soldato e aveva ucciso e violentato e bevuto il sangue dei nemici. Una sola volta, ma gli era piaciuto. Non voleva. L’aveva fatto solo perché sembrava che se non lo avesse fatto gli altri avrebbero pensato che non era uomo o forse che era nemico, anche lui.

venerdì 15 marzo 2013

Ho scritto, non hai letto

Sul letto c'è un uomo. Non dorme. Ha preso una polverina bianca che a essere prudenti non si deve mai comprare né avere né sapere che esista, ne ha presa tanta, ingoiandola, aspirandola, strofinandola sugli occhi.
Non riusciva più a muoversi, si era ammalato un anno prima e non parlava più bene.
La donna lo assisteva e non voleva che scomparisse, ma non ci pensava mentre lo aiutava ad andare in bagno, a vestirsi, ad alzarsi, mentre lo imboccava, non ricordava un tempo in cui erano stati felici o arrabbiati, ma in piedi, uno di fronte all'altro, un tempo in cui era tutto salute e tempesta, in cui sembrava che nulla sarebbe mai finito, non lo ricorda e neppure lo sa più che quel tempo c'è stato. Ora vuole solo che il suo compagno stia bene, così come è diventata la loro vita, lo accudisce come se non fosse mai accaduto nient'altro fra di loro, solo lei che lo cura e lui che giorno dopo giorno sta peggio.
Ha preso la polverina. Lei non può credere che non l'abbia nemmeno salutata, scritto un biglietto, guarda il corpo e pensa che non c'è più.

venerdì 8 marzo 2013

Riflessologia pornografica

 
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
 
"Sono le 5 di mattina. Sono molto stanco. Mi sveglio di soprassalto con l'incontrollabile esigenza di scrivere.
Da tanti giorni sei all'altro capo del mondo.
Tra pochi giorni torni ed è difficile descrivere quel che ho provato.
Un certo stupore, sicuramente, nel verificare quante attenzioni richiedono tre figli e da quante incombenze quotidiane io venga tenuto fuori quando ci sei tu (non scaldare la femminista che e' in te, a parti invertite avresti la stessa sensazione).
Prima che tu partissi mi ero ripromesso di anestetizzare il cuore per razionalistica precauzione.
Non ci sono riuscito. Non credo di aver passato mai così tanto tempo pensando a te. Il cuore ha pulsato di una passione feroce, compensata solo in parte dall'onirica e impercettibile sensazione di averti accanto.
Mi sono ritrovato a fare le cose proprio come le fai tu, anche quelle che a volte detesto, scoprendo, non senza un certo imbarazzo, che l'automatismo con cui mi muovevo era frutto della profonda condivisione di metodi che dimostrano con precisione come in certi casi la forma sia sostanza.
Ma la cosa più sorprendente è stata la conferma che la medicina cinese sta avanti, molto avanti rispetto a noi.
In medicina cinese, infatti, ogni organo del corpo ha un suo organo riflesso. In riflessologia plantare, tanto per fare un esempio, per stimolare la gola ti premono l'alluce.
Ecco, questa forzata assenza mi ha fatto scoprire che, in me, l'organo riflesso del cuore sono le palle.

venerdì 1 marzo 2013

13 settembre

Da una giovanissima lettrice riceviamo e volentieri pubblichiamo.
 
"E fu così, all'improvviso, che mi innamorai di lui. Era una giornata tiepida di settembre e avevo i capelli castani e mossi, avevo il viso più rotondo, i lineamenti erano meno evidenziati di come lo sono adesso, avevo l'apparecchio, come lui.
Così mi sporcai le mani con la terra e chiesi alle mie amiche se mi volevano accompagnare alla fontanella, ma a tutte pesava il culo quindi lui mi fece: "Ehi, ti accompagno io". Così ci allontanammo da quel gruppo infinito di gente per andare incontro al nostro futuro, alla nostra felicità e sofferenza, alla nostra allegria e tristezza, alle nostre sorprese belle o brutte che fossero.

venerdì 22 febbraio 2013

Barbara

Tutti i lettori di questo blog conoscono il mio rapporto faticoso e ambiguo con la scrittura. Da un verso essa mi è necessaria, dall'altro ritengo lo scrivere, da parte mia, un inutile esercizio di vanità, con il dubbio che quello che scrivo non interessi a nessuno.
Ho avuto riprove del contrario, ma non bastano mai. Questo blog stesso, in particolare, attraversa tempeste ideologiche che a volte mi hanno spinto su secche narrative. In poche parole, sono sempre sull'orlo di smettere di curare questo giardinetto, come spesso l'ho definito, perché ho l'impressione che non sia uno strumento di comunicazione ma un rito autoreferenziale, un diario solipsistico.
C'è stata una lunga eclisse di scoramento che mi ha fatto abbandonare il blog al suo destino, per un periodo di tempo piuttosto lungo. Uno dei motivi per cui l'ho ripreso per non lasciarlo mai più, tutti i venerdì, è stato creato da una conversazione che ho avuto davanti al teatro Vittoria, qualche mese fa, con Barbara.

venerdì 15 febbraio 2013

San Valentino

Mia madre sposta la mano. Sembra un fiore. Nell'aria. Mi parla. Mi guarda. Non rispondo.
China il capo. Si volta verso la finestra. Respira forte. Appoggia la testa al vetro. Parla di nuovo.
Ascolto.
Aspetta la mia risposta. Cambio argomento.
"Non ti ho mai detto che vorrei essere un astronauta", dico. "Che vorrei stare fra le stelle a guardare come siete buffi e belli e terribili su questo pianetino che è tutto quello che avete."
"Che abbiamo", dice.
"Sì, abbiamo, vero. Distrazione, a volte non mi sento qui con voi."
Restiamo un poco zitti.
"A volte vi osservo, ed è difficile spiegare come. Non con distacco. Ma neppure con commozione. Con ammirazione. Oppure corrugo la fronte, addolorato. Sono come voi, mi dico, niente di meglio e niente di peggio."
"Lo so", dice. "L'ho sempre saputo che sei diverso. Solo io ti capisco."
Annuisco, ma non ci credo. Non credo che sappia che un giorno scriverò di questo dialogo sbilenco e mai accaduto.
 
Non ho avuto il tempo, continuo intanto a pensare. Come se fosse vero. Tempo ne ho avuto anche troppo. Non l'ho usato, non mi sono stretto dentro di me e non ho considerato che alla fine il tempo sarebbe finito.
Non ho avuto 'o genio, come diceva mio padre, la voglia di alzarmi e capire quanto era strano morire di San Valentino.
Del resto, in quale altro giorno potevi morire, mamma.
 
"È tutto il giorno che piove", dice. "Mi entra l'umido nelle ossa e mi sento bagnata fino agli occhi. È per questo che piango. È l'umidità che esce, ma non sono triste. Davvero."
China il capo verso di me, col ricatto del mezzo sorriso, stringendosi fra le sue braccia.

venerdì 8 febbraio 2013

Il suo corpo è stato ritrovato

Il suo corpo è stato ritrovato al centro della carreggiata, reclinato su un fianco.
Il suo corpo aveva avuto alcuni tempi belli e molti tempi brutti. L'ultimo tempo era stato decisamente brutto, ma talmente vicino a un momento bello che sarebbe stato molto difficile separare il bello e il brutto nell'accadimento che aveva condotto il corpo al suo termine.
Il suo corpo era tutto quello che aveva per sentirsi viva.
Era la prova che un maschio e una femmina si erano uniti, tempo addietro, per motivi diversi ma non per questo in contrasto.
Lui voleva averla, lei voleva darsi. Difficile rintracciare, in natura, una più spiccata sintonia d'intenti.
Il fatto che tutti, più o meno, sono nati così, non smentiva ai suoi occhi l'unicità dell'accaduto.
Ci ripensava, quando si fermava ad ascoltare i sussurri degli amanti nei parchi o quando sentiva chiamare per strada nomi che non conosceva. Il voltare di una testa, un bacio appassionato, una mano alzata in un saluto, la rendeva certa del fatto che fosse una persona speciale. Perché solo lei si accorgeva della straordinarietà di quegli eventi.

venerdì 1 febbraio 2013

Everything Must Change

 
Mentre si riveste, la brutalità della questione lo colpisce con chirurgica certezza. Conosce quella sensazione d'irrimediabile perdita, gli è già accaduto molti anni prima, per avvenimenti assai meno importanti. Non sarebbe eccessivo affermare che l'ha sempre saputo.
Non staranno mai insieme.
"Vai via?"
"Devo, amore."
"Rimani, ancora un poco."
La guarda con in mano la volgarità dei suoi pantaloni da indossare in fretta.
"Ti prego."
Così le si distende accanto, ma lontano, non può evitarlo. Finge tenerezza, sottovalutando, come sempre, la sua capacità di comprendere, di sapere sempre cosa lui senta davvero.
Non può fare a meno di immergersi nei capelli di lei, madre, figlia, compagna e amante. Lei, che non rivedrà mai più.

venerdì 25 gennaio 2013

Tiber city

Sto fiume. Zozzo. Sto cazzo de fiume. Nisuno se domanna 'ndo va. 'O sanno. Va 'ndo deve annà. Come noi. Come tutti.
'Na notte stavamo a guardà de sotto. Er Sillaba, come ar solito, stava zitto. Me piace, dico, me piace vedello annà, 'sto fiume. Armeno lui.
Capirai che spettacolo, dice Forastico. A me me piace, risponno.
Pure a me, dice er Sillaba. Me piace tanto. Me pare 'no scivolo verso l'artro monno.
A Sillaba, faccio, erano armeno du giorni che nun se sentiva a voce tua, proprio sta cazzata dovevi dì? Forastico se mette a ride, io je do 'no schiaffetto dietro la capoccia, ma piano, perché je vojo bene a quer testa de cazzo. E zitto, che er Sillaba è 'n poeta. Che voi dì, Sillaba? Allora lui se leva er giacchetto, er majoncino, a camicia, insomma, se spoglia nudo, co solo le mutanne addosso. Ma piano, senza core, mette tutta a robba da na parte.
Fa freddo, che cazzo fai? dice Forastico. Ma faceva ride, secco secco, pareva na formica co e mutanne rosse, co quee braccine che non riusciva manco a faccese e pippe. Poi, er Sillaba sale sur parapetto, a ponte Mirvio. Noi sempre a ride. Daje, buttate, facce vede 'n ber tuffo.
Mica risponneva, guardava de sotto, poi davanti, poi n'artra vorta de sotto. Avevamo girato 'na canna sì e no, nun eravamo fatti, puro s'era tardi, 'e due, 'e tre. Stava in piedi sur parapetto. Nun parlava mai. Invece ha principiato, Er Sillaba.

venerdì 18 gennaio 2013

In punto di vita

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
 
"È curioso il modo che ciascun essere umano sperimenta nella venuta al mondo: per alcuni doloroso, per altri pericoloso, per molti emozionante oltre l’immaginabile. Potrebbe essere più semplice nascere da un albero, scendendo lungo il tronco e toccare terra o dall’aria, da una nuvola, da una linea di fumo che in un’età inaspettata inizia a incuriosirti perché crea forme tanto astratte quanto riconoscibili. Qualunque sia il modo giusto di venire al mondo è comunque sbagliato credere che sia quello il momento in cui tutto inizia.
Un (piccolo) uomo viene al mondo quando si alza in piedi da sé e barcolla, casca, si rialza faticosamente, quattro zampe, ponte e via. È proprio in punto di vita mentre ha tanti occhi puntati addosso che gli sorridono perché è finalmente in piedi, in quel momento sente di essere il più forte, è felice, e per un po’ gli basterà. Vive della condivisione di quel sorriso, un po’ stupido e un po’ incompreso. “Se loro ridono, rido anch’io.”

sabato 12 gennaio 2013

Mariangela Melato, lettrice

 
So di contravvenire alle regole che io stesso ho fissato non più tardi di ieri, ma c'è una piccola storia che devo raccontare.
Nel 1995 giravo L'avvocato delle donne, una miniserie per la Rai diretta dai fratelli Frazzi, la cui protagonista era Mariangela Melato. Interpretavo un personaggio fisso, seppure marginale, quindi ho lavorato spesso, per un paio di mesi, con la Signora Melato. Avevo, per lei, una grande ammirazione. Abbiamo scambiato poche parole, molta cortesia e consumato insieme un paio di pasti.
Avevo finito di scrivere 59 minuti, il mio primo e finora ultimo libro, ma non l'avevo fatto leggere a nessuno, vergognandomi e timoroso di un giudizio negativo, da qualunque interlocutore venisse.
Il penultimo giorno di riprese mi sono scoperto a mettere nella borsa, prima di raggiungere il set, insieme alle poche battute che avrei dovuto dire anche il manoscritto del volumetto, metà a macchina e metà a mano, leggibile sì, ma con una certa difficoltà. La sua precarietà era confermata da alcune inequivocabili macchie di nutella che all'epoca consumavo in quantità industriale.
Si girava al mare, a Fregene, in un clima di festosa nostalgia di quello che tutti, attori e tecnici, stavano per perdere: la paga e la reciproca compagnia.
Alla fine della lavorazione ho deciso che il manoscritto sarebbe rimasto nella borsa. Ho incontrato Mariangela che usciva dal camerino che le avevano allestito nella casa dove lavoravamo.
Hai una faccia strana, mi ha detto, ti dispiace che finiamo?

venerdì 11 gennaio 2013

Di nuovo attivo

 
Questo blog, come sapete, ha subito una lunga eclisse. Avevo bisogno e desiderio di ripensare al suo significato e l'esperienza del Blog Live, in tal senso, è stata piuttosto formativa.
A meno di clamorosi sviluppi per ora assenti dall'orizzonte, il futuro è piuttosto semplice: verrà pubblicato un post tutti i venerdì, mio o con la collaborazione dei lettori che invito di nuovo a spedire quello che concepiranno all'indirizzo mail che trovate sulla destra dello schermo.
Mi permetterò, come ho già fatto, di rieditare i contenuti che riceverò, rispettando lo stile dell'autore.
Potrò anche richiedere una riscrittura, qualora lo ritenessi necessario, o rifiutare la pubblicazione, considerando le necessità e i desideri della piccola comunità nata intorno al blog stesso.
Vi prego d'indicare sempre come vi volete firmare, se in forma anonima, sotto pseudonimo o col vostro nome e cognome.
Potrete commentare in ogni modo vogliate, sia su FB, che su Twitter che sullo spazio riservato ai commenti.
Sarebbe meglio che autorizzaste la pagina relativa al blog su FB a spedirvi gli aggiornamenti.
Questo post ha il solo scopo di testimoniare che Lettere agli Amanti è di nuovo attivo, e che lo rimarrà finché morte non ci separi. Anche oltre, se riuscirò a interagire con una tastiera in forma di entità incorporea. Sto facendo degli esercizi. Già scrivo mamma con la sola forza della mente. Sto provando anche con papà ma vengono solo delle inintellegibili striature grigie. I padri sono irrequieti.
 
A venerdì prossimo.