Sono stato nella casa natale di Giacomo Leopardi, a Recanati. V'invito a rileggere A Silvia. A voce alta, è meglio. Perdete cinque minuti del vostro tempo. Alla fine vi spiegherò perché.
"Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?
Sonavan le quiete
stanze, e le vie d'intorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all'opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d’in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch’io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? perché di tanto
inganni i figli tuoi?
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi;
né teco le compagne ai dì festivi
ragionavan d’amore.
Anche perìa fra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche negaro i fati
la giovinezza. Ahi come,
come passata sei,
cara compagna dell’età mia nova,
mia lacrimata speme!
Questo è il mondo? questi
i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi,
onde cotanto ragionammo insieme?
questa la sorte delle umane genti?
All’apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano."
A un certo punto della visita nella biblioteca di casa Leopardi, la guida ha accennato a una finestra che dava su una piccola piazza. Ci ha raccontato che Giacomo (così l'ha chiamato, per tutto il tempo) quando la luce iniziava a scarseggiare e non gli permetteva più di studiare come voleva, avvicinava il tavolino a quella finestra, per sfruttare gli ultimi bagliori del giorno. "Da qui guardava Silvia, che in realtà si chiamava Teresa, che filava nella sua stanza. Quella lì di fronte", ha detto la guida, indicandoci una piccola finestra nel basso palazzetto davanti a noi.
Perché ci siamo commossi? Perché improvvisamente noi eravamo a fianco di quel ragazzetto che guardava una creaturina lavorare davanti a lui? Perché sapevamo quello che ancora lui non poteva sapere, che Silvia sarebbe morta da lì a poco?
Credo che ci siamo commossi perché abbiamo visto la bellezza dispiegarsi davanti ai nostri occhi nella sua semplicità. Due finestre, una ragazzina e un ragazzino, nient'altro. Ma la bellezza è nell'occhio di chi guarda.
Giacomo scriverà la poesia molti anni dopo quelle visioni. Tuttavia, riuscirà a restituirci la fragilissima bellezza della gioventù, il dolore della sua caducità che però non ne offusca l'abbagliante fulgore.
In quel "Ahi come, come passata sei", c'è tutta la disperazione di non essere riuscito a fissare quella bellezza per sempre, se non nel ricordo. Ricordo necessario, però, altrimenti non ne parleremmo ancora, dopo duecento anni.
Ricordiamoci sempre di quello che stiamo facendo, mentre lo stiamo facendo. Uno sguardo di lei, un sorriso di lui, un bagno a mare nella calura, un profumo inatteso.
È così tanta la bellezza e così poco il tempo per goderne.
La stessa emozione che ho provato 4 anni fa, nella stessa casa. E immagino anche stessa guida, che quando parlava di "Giacomo" lo faceva sempre con una particolare luce negli occhi.. Ed è quella stessa luce che mi ha permesso, da lì in poi, di leggere diversamente le sue opere.
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