Mi domando se in effetti tutto venga contagiato dalla mia esperienza, dai miei desideri, da quello che ritengo essere il mio destino. Vedo un uomo anziano ed egli è logicamente connesso alle pratiche della clinica di fronte all'albergo dove soggiorniamo. Perché è in evidente difficoltà? Perché viene amorosamente custodito da una creatura così più giovane di lui? Perché potrei essere lì per la stessa ragione?
Guardiamo il mondo come se tutte le vicende che in esso avvengono fossero parte della nostra autobiografia, come se nulla potesse sorprenderci davvero. L'entità del nostro stupore è direttamente proporzionale al tempo della nostra capacità di prevederlo: più breve sarà, più grande avvertiremo la meraviglia, o lo sgomento, o l'orrore. Ma quel tempo resterà sempre, per quanto microscopico, quasi innavertibile. Prevediamo, instancabili, mal tollerando il caso che si frappone così spesso fra noi e le nostre previsioni. Facciamo progetti, a breve, medio e lungo termine, come se questo gesto avesse un senso. È probabilmente la nostra mortalità che ci spinge a ricercare una qualunque capacità d'incidere sul reale. Sappiamo bene qual'è la fine della storia. Crediamo, quindi, di poter influenzare lo svolgimento della trama.