"Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque seisetteottonovedieci.
Non mi piaceva nascondermi, preferivo essere io a contare.
Mi divertiva andarlo a scovare per la nostra grande casa, fin su nella soffitta.
Il rifugio dei nostri segreti.
Ci piaceva studiare insieme, tornare da scuola e giocare a mascherarci da pirati, principi e draghi.
Completare l'album delle figurine dei calciatori, correre fino al bar della piazza per pagare 30 lire un ghiacciolo.
Fare a botte con le mani sporche di terra, andare in chiesa la domenica mattina, non vedere l'ora di scappare e con la giacchetta della festa accennare partite di calcio con i ciottoli del borgo.
Affacciarsi alla porta e aspettare sui gradini il ritorno dei genitori.
Amavamo macinare chilometri e passare davanti Cinecittà di sabato pomeriggio, fermarci in libreria a consultare libri e dopo che li avevamo comprati sottolineare le frasi più romantiche.
Mangiare caldarroste di inverno, fare il bagno al mare d'estate.
Passato il periodo della giovinezza e iniziato quello che porta alla maturità, ho perso di vista il mio amico.
Che fosse andato a vivere in un'altra città? Non lo ricordo. Più.
So solamente che d'improvviso mi sono trovato solo e non ho avuto nessuno accanto.
Nessuno di cui occuparsi, nessuno a cui telefonare, scrivere, nessuno con cui confidarsi, con cui ridere. Nessun senso.
Poi d'improvviso succede che un giorno qualsiasi diventa il giorno migliore per scoprire che quello che siamo è bello e va bene così.
Scoprire le prime pieghe sul volto e quella lieve presbiopia di occhiali da supermercato, lo sguardo rugoso incastonato nella noia del traffico mattutino.
Lo scopriamo una mattina d'autunno, un pomeriggio d'estate mentre sorseggiamo bibite analcoliche o una sera d'inverno quando il tegame sfrigola frittate ai fiori di zucca.
Adesso in quella soffitta io ritorno molto spesso, come un bambino a cercare di nascondermi.
Lì giacciono da tempo una roncola, le forbici per potare e sulla paglia parole mangiucchiate dal tempo di due numeri del Reader's Diges,t “I guastatori delle dighe” e “Mia cugina Rachele”.
Lì accade che mi lascio carezzare da chissà quali strane favole e un poco mi riconsolo del perduto affetto.
Lì mi è chiaro quanto fosse vero il segreto che per tutti questi anni ho protetto: quell'amico non se ne è mai andato."
Elena Capparelli
Nessun commento:
Posta un commento