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domenica 16 settembre 2012

Roberto Roversi

È scomparso Roberto Roversi, un grande poeta italiano. È stato autore, tra l'altro, di una memorabile trilogia discografica con Lucio Dalla. Da "Automobili", il terzo disco della trilogia, ecco il testo di "Due ragazzi".
 
"Dentro a un'auto scalcinata
al margine di un campo
un'autodemolizione
Dentro a quest'auto abbandonata
due ragazzi seduti
fitti fitti fitti fitti fanno conversazione
La ragazza è carina
ha i capelli neri e corti
lui ha una faccia da faina
furba e divertente
si riparano dalla gente
lui la tiene stretta
e parlano parlano a voce bassa, in fretta
E' bello ascoltare
così, la vita che striscia
la vita strisciare adagio come un serpente annoiato
baciarsi dieci volte senza paura in un minuto
parlare di oggi, parlare d'amore, parlare domani
toccarsi con le mani
La vita è così vicina
ogni cosa è ancora da fare
il futuro è verde è freddo è profondo come il mare
tentano di toccarlo con i loro piedi
prima di decidersi, decidersi a buttare
Sei un topino bianco
Io io io
io ti ho trasformato in un angelo
con ali formidabili.
Tu lavavi stiravi le camicie
e io seduto in un angolo fumavo.
Guardami ancora con amore
lo so che sono vecchio
lo so che ho già vent'anni.
Ma - lei risponde - ti sposerei lo stesso
Io io io
anche se ti ho sempre detto
voglio andare a letto con un uomo
ma non so cosa fare
Tu mi dicevi: perché non prendi me?
Era un gioco
io io io
lo so che era un gioco
e non so cosa fare
perché adesso non voglio
che stare qua a guardarti ed ascoltare.
Dall'alto piove una neve verde
portata dall'ombra della sera
scoppiano tre stelle all'improvviso
enormi come un grande riflettore
sopra all'auto scalcinata
al margine di un campo
dentro a un'auto in demolizione
dove due ragazzi senza tempo
fanno l'amore."
 
Se volete ascoltare la canzone, dopo il salto il link.

lunedì 10 settembre 2012

Io, dov'ero?

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
"Mi sono svegliato di notte per giorni e giorni, settimane. Mesi.
Una domanda feroce in testa: io, dov'ero?
Dov'ero quando hai aperto la finestra e l'aria ti ha accarezzato il viso?
Ho tutte le risposte: il motivo per cui hai aperto, perché il fresco non ti ha sferzato, perché il primo piede non é tornato indietro.
Ho tutte le risposte. Ma non quella.
Io, dov'ero?
Non intendo in quei giorni, mesi, anni.
Voglio dire proprio in quei secondi. E' stata un'ossessione. Ho ricercato nella memoria i precisi istanti. Ho lottato con la mente e i suoi meandri per scacciare quel pensiero, ma la domanda tornava sempre. Prepotente, in tutta la sua pochezza dinanzi all'enormità dell'accaduto.
C'é stato un momento in cui il piede ha poggiato sulla ringhiera e poi un istante di barcollamento e poi il mondo verticale è diventato orizzontale. Una partenza lenta ha fatto posto a una lenta, inesorabile accelerazione da cui non si torna più indietro.
E poi l'impatto.
Io, per giorni, non sono stato capace fissare i pensieri perché ogni tanto la domanda tornava. Io, in quei 20/30 secondi, dove ero? Cosa stavo facendo? In un’assurda paranoia di ricerca metodica ho passato ore a cercare di ricostruire i miei movimenti di quel giorno, ma nulla.
Io non so dov’ero.
Mentre tu volavi.
 
Poi ho capito.
 
Dopo molte immagini. Ma una su tutte: in coma, piangevi.
A occhi chiusi. Senza suoni. Piangevi. Mai saprò a che pensavi. O a chi.
Un corpo altro dal tuo, gonfio, lucido, lacerato e ferito da chi, con ogni probabilità, ti ha salvato la vita, lasciava uscire lacrime silenziose e limpidissime.
Delle cose che ho imparato, molte avrei voluto ignorarle: che i muscoli, con l'urto, si polverizzano. Che senza milza si può vivere. Che i polmoni collassano. Che in coma si può piangere.
 
Poi ho capito, dicevo.