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sabato 12 gennaio 2013

Mariangela Melato, lettrice

 
So di contravvenire alle regole che io stesso ho fissato non più tardi di ieri, ma c'è una piccola storia che devo raccontare.
Nel 1995 giravo L'avvocato delle donne, una miniserie per la Rai diretta dai fratelli Frazzi, la cui protagonista era Mariangela Melato. Interpretavo un personaggio fisso, seppure marginale, quindi ho lavorato spesso, per un paio di mesi, con la Signora Melato. Avevo, per lei, una grande ammirazione. Abbiamo scambiato poche parole, molta cortesia e consumato insieme un paio di pasti.
Avevo finito di scrivere 59 minuti, il mio primo e finora ultimo libro, ma non l'avevo fatto leggere a nessuno, vergognandomi e timoroso di un giudizio negativo, da qualunque interlocutore venisse.
Il penultimo giorno di riprese mi sono scoperto a mettere nella borsa, prima di raggiungere il set, insieme alle poche battute che avrei dovuto dire anche il manoscritto del volumetto, metà a macchina e metà a mano, leggibile sì, ma con una certa difficoltà. La sua precarietà era confermata da alcune inequivocabili macchie di nutella che all'epoca consumavo in quantità industriale.
Si girava al mare, a Fregene, in un clima di festosa nostalgia di quello che tutti, attori e tecnici, stavano per perdere: la paga e la reciproca compagnia.
Alla fine della lavorazione ho deciso che il manoscritto sarebbe rimasto nella borsa. Ho incontrato Mariangela che usciva dal camerino che le avevano allestito nella casa dove lavoravamo.
Hai una faccia strana, mi ha detto, ti dispiace che finiamo?
 
Credo di aver annuito.
Anche a me. Siamo stati bene, ha concluso.
Siamo rimasti in piedi l'uno davanti all'altro, ci si aspettava che io dicessi qualcosa, immagino.
Invece ho tirato fuori le paginette, 106, mi sono cadute e il vento le ha disperse sulla spiaggia davanti a noi.
Le ho inseguite, raccolte e riunite. Le ho anche sbattute su un muretto, per liberarle, quanto possibile, dai granelli. Le macchie di nutella, però, ne avevano inglobati alcuni, per sempre.
La sbigottita Melato ha seguito questo traffico con ammirevole pazienza. Le ho consegnato i fogli, ancora 106, per fortuna, che lei ha accettato con un sorriso prudente.
Vorrei lo leggessi, ho detto.
Finiamo domani.
Lo so, ho risposto, magari avremo modo di risentirci o di rivederci e mi dirai cosa ne pensi.
Per l'intero viaggio di ritorno mi sono maledetto per aver dato l'impressione di essere un malato di mente, rovinando la buona impressione che in quei mesi mi ero guadagnato col mio garbato riserbo.
Il giorno dopo, appena arrivato sul set, l'assistente alla regia mi ha detto che la Signora Melato mi aspettava nel suo camerino.
Sono entrato e aveva fra le mani le mie parole. Ho pensato proprio così. Le leggeva.
È bellissimo, ha detto.
L'ha letto tutto?
Due volte. Perché mi dai del lei?
Non lo so.
Ha riso con la sua voce roca e profonda. Ha scritto il suo indirizzo sul retro dell'ultima pagina.
Vorrei che me lo mandassi.
Non so se qualcuno vorrà mai pubblicarlo.
Ma io non voglio il libro, voglio questo manoscritto. Fanne una copia e mandami questo. Mi sono affezionata.
 
Non ho mai fatto una copia del manoscritto, non l'ho mai spedito. Mi sembrava un gesto troppo invadente. O avevo il timore che avrei rovinato quell'attimo perfetto, se gli avessi dato seguito.
Quando uscì il libro ho pensato di portarglielo a teatro, dopo lo spettacolo. Faceva la Bisbetica domata all'Argentina. Ma non mi era piaciuta molto e non sono neppure andato a salutarla in camerino. Non volevo mentirle. Ho riportato il libro a casa. Non l'ho più rivista.
Quel giorno in cui l'ho trovata a leggere, a leggermi, nel suo camerino, sono diventato uno scrittore.
 
A venerdì prossimo.
 

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