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lunedì 18 giugno 2012

Il coraggio di Vittorio

Vittorio Gassman, una sera, una di quelle lunghe sere che trascorreva a Firenze con i suoi allievi che facevano a gara per rispondere alle sue provocazioni intellettuali e cupamente allegre, cercava una definizione di coraggio. Che cos’è? fingeva di chiedersi, ma aveva già la risposta.
“C’è un cane ferocissimo, qui sotto, in cortile. Nessuno riesce neppure ad avvicinarsi. Ma non possiamo uscire, tornare a casa, finché il cane è di sotto. Chi scende e cerca di occuparsene, ecco, quello è un coraggioso.”
Semplice, come esempio. Incontrovertibile.
Con perfino un qualche valore simbolico del singolo che si sacrifica per il bene comune, il tornare a casa, rischiando il dolore fisico.
È curioso notare che Vittorio non morì di un qualche strazio corporale, di un tumore feroce e terminale che lo riducesse un grumo di carne dolorante, ma di depressione. Ossia della mancanza del coraggio supremo di affrontare non un cane ferocissimo e pronto a dilaniare le nostre carni, ma l’insensatezza del vivere, quella specie di lago immobile e nero che ci troviamo a fissare in alcune brutte notti solitarie.
Vittorio, con i suoi straordinari mezzi intellettuali, forte di un imprecisato numero di compagne e di tre mogli, di figli e figlie, propri e acquisiti, di cui sicuramente era fiero, nella loro affascinante varietà, che godeva dell’amicizia di alcune delle migliori menti della sua generazione, Vittorio, dunque, non aveva il coraggio di ammettere che il senso di tutta la sua ricchissima e strepitosa vita era proprio che non aveva alcun senso.
Un vigliacco, dunque? No, egli ha continuato a fissare le acque buie e oleose del nichilismo assoluto ostinatamente, ossessivamente, senza neppure un barlume di fede ad assisterlo, convinto che, alla fine, avrebbe vinto lui, pur non avendo nessuna speranza.
Me lo immagino, o lo ricordo, non godere dei trionfi e rievocare all’infinito i fallimenti.
È sceso in cortile, terrorizzato. I cani feroci lo aspettavano nell’ombra e a essi, alla fine, si è consegnato.
Non è coraggio questo, Vittorio, combattere con la certezza che si perderà?
 

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