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domenica 3 giugno 2012

Mare, soldati e contadini

La prima poesia l’ho pensata a cinque anni. Non la ricordo bene, credo vi fosse coinvolto un contadino che fissava stupito le sue mani sporche di terra, le righe sul palmo, le unghie nere.

Si perdeva dentro quelle mani, iniziava su una di esse un viaggio come se l'appendice fosse un mare immenso e misterioso, quello stesso mare che non aveva mai visto.
 
Voltava oltre il promontorio del pollice, risaliva per la discesa che lo congiungeva all’indice e, appena dopo il medio, si tuffava nel grande, terribile oceano del palmo, al centro del quale, ne era sicuro, c’era un gorgo immane che rischiava d’ingoiare la fragile navicella con la quale attraversava la sua mano sporca di terra.
 
C’erano altre confuse azioni, di cui non ho memoria, lotte per resistere ai marosi delle dita, battaglie sconvolgenti contro il vento proveniente dal polso, un vento freddo, che riportava alla realtà e dissipava il sogno.
 
Non l’ho mai scritta quella poesia, perché mentre guardavo la mia mano che si muoveva e immaginavo il viaggio, la chiusi, in uno di quei gesti ciecamente distruttivi che i bambini compiono per dimostrare il proprio potere sul mondo.
Venne la notte. La barca del contadino non aveva punti di riferimento, la notte nel suo pugno era senza stelle e senza luna, buia come la solitudine che l’aveva spinto a immaginare quel viaggio.
 
Come la mia solitudine, un cinquenne su un terrazzo di periferia accanto a un vaso di gerani dove avevo interrato un soldatino che aveva appena perso la vita, eroico e sconfitto, sul pavimento di piastrelle rosse della mia cameretta. Mi ero sporcato la mano, seppellendolo, e avevo voltato per il contadino che sognava di viaggiare per mare.
 
Non l’ho mai scritta quella poesia, ma m’è sempre rimasta quella sensazione d’inevaso, d’incompiuto, di non detto, come quando ci si sveglia e, pochi minuti dopo, il sogno che avevamo così chiaro è smarrito per sempre, a parte alcuni invadenti e inutili dettagli, un bicchiere azzurro, uno specchio che non riflette nulla, una piantina appena scossa dal vento.
 
Ho provato a raccontarla, questa storia, a una fidanzata che mi amava molto mentre eravamo distesi ed esausti, a metà della notte.
Sazi ma non appagati. Ma a metà della descrizione della mano del contadino, lei si è addormentata.
Quindi, questa è stata la prima volta che ho parlato a qualcuno del viaggio del contadino sulla sua mano.
 
A volte, ho proprio bisogno che qualcuno mi guidi.
 

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