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giovedì 5 settembre 2013

Luce, quarta parte

 
 
Pronto?”
“Sì.”
“Neanche ciao?”
“Ciao. Dove sei?”
“Lo sai.”
“Speravo avessi cambiato idea.”
“Quando?”
“Non lo so. Sul treno.”
“No, non ho cambiato…”
“Speravo che fossi sceso alla fermata prima, o a Firenze, addirittura, o a quella dopo.”
“No, non…”
“Ma tu sei uno forte, no? Devi dimostrare di avere le palle.”
“Non devo…”
“Che poi è sempre stato il tuo problema.”
“Può darsi.”
“Sai che c’è? Così dimostri solo che non ce le hai, le palle.”
“Eli, non…”
 
“Mi chiamo Elisa, non Eli. Hai perso il diritto di chiamarmi Eli. Eli mi chiamano mio marito e mio padre. Non sei più l’uno e non avresti potuto essere l’altro.”
“Per fortuna.”
“Che vuoi dire?”
“Che sono felice di non essere stato tuo padre. Di non avere avuto una figlia come te.”
“Perché? Come sono io?”
Cerco la parola giusta. Per ferirla, ma dicendole la verità.
“Prepotente.”
Troppo superficiale. Un graffio. Infatti ride.
“Prepotente? Niente di meglio? Ti mancano le parole? A te? Brutto segno.”
“Se invece di assalirmi ti domandassi il perché t’ho chiamata, non potremmo avere una conversazione normale…”
“Normale?”
“Normale, sì, come due adulti, non questa serie di ripicche e rinfacci continuati...”
“Sei tu che cominci…”
“No, sei tu, ti devo registrare, si sprofonda in questa spirale di cazzate. Come sei fatta tu, come sono fatto io, perché non sei così…”
“Non sono cazzate…”
“Cazzate è l’unico termine che è possibile usare quando ci esaminiamo a vicenda dopo vent’anni.”
Finalmente si arrende. Troppo tardi.
“Va bene, come stai?”
“Vado a cercare una puttana. Non ci sono mai stato e sono curioso di sapere come reagirò. Mi si addrizzerà? O starò a parlare, come ho sempre pensato che mi sarebbe successo? Ma tanto a te non te ne frega niente…”
“No, non ci credo.”
“Invece è vero, scendo giù e mi trovo una bella puttana svizzera, di colore, magari, anche con una nera non sono mai stato, due piccioni con una fava.”
“Quindi? Dovrei essere gelosa?”
“Di una puttana? Se vuoi.”
“Te lo ricordi che non siamo più sposati? Perché forse in questo tuo furore contro non ho capito chi hai dimenticato delle cose elementari. Per esempio che non siamo più sposati perché fingevi di essere depresso.”
“Fingevo?”
“Tu non sai neanche cosa sia la depressione. Volevi solo farti notare.”
“Secondo te è per farmi notare che sono qui?”
“Cosa vuoi, che ti dica di no altrimenti compi un gesto irreparabile? Ho smesso molto tempo fa di avere precauzioni per evitare che mettessi in pratica le tue minacce…”
“Non sono minacce…”
“Non fai paura a nessuno, perché a nessuno gliene frega più niente di quello che fai.”
“Questo l’ho capito. È proprio per questo…”
“Cosa? Che vai con le mignotte svizzere? A chi prendi per il culo?”
Sento montare la rabbia senza riuscire a controllare le mie reazioni.
“A nessuno prendo per il culo! Perché non capisci mai un cazzo? Perché non mi capisci? Perché nessuno capisce un cazzo di come mi sento!”
“Questa è la parte in cui diventi la vittima.”
“No! Non sono la vittima di nessuno, non ho detto questo, non mettermi in bocca cose che non dico!”
“Nessuno capisce un cazzo di come mi sento, che significa? C’è un mondo che beatamente continua ed è indifferente alla tua sofferenza. Ma tu ci credi a questa stronzata?”
No, non ci credo.
“Io sono qui, tu no.”
“Questo che c’entra?”
Abbasso la cornetta con un botto, spero di non aver rotto il telefono. Chissà quanto me lo farebbero pagare.
Ci vado, con la puttana, lo giuro. Tanto, ormai.
 

1 commento:

  1. ..assonanze. Scrivo -sto scrivendo- di una ragazza albanese chiamata Drita(luce), ed improvvisamente leggo questa...Luce, quarta parte...
    ..come sempre, quindi, le assonanze ed il resto.. :-)
    Grazie. Alfred

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