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mercoledì 18 luglio 2012

Traduzione

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
 
"Era una domenica mattina. L'aria era pulita come se avesse condensato il vento che durante la notte aveva gridato forte dietro i vetri delle finestre. C'erano foglie dappertutto, poco distanti sotto i marciapiedi del viale, stracci di carta riposavano immobili sull'asfalto, sulla schiena del marciapiede.
Elsa camminava rigida sulla schiena, muoveva le gambe senza sintonia con il resto del corpo, qualcosa dentro di lei muoveva i suoi passi, restando separata dal resto del mondo.
Aveva finito da poco di lavorare alla traduzione del libro di uno scrittore francese poco conosciuto. Non era la prima volta che lo faceva, era il suo lavoro, ma questa volta si sentiva una gran responsabilità. Sapeva benissimo che spesso il successo letterario di un testo è affidato in parte a una buona traduzione. Così aveva pazientemente letto e tradotto ogni parola, cercando di restare il più fedele possibile alla musicalità delle parole dell'originale.
Traduzione: parole che devono restare strette fra loro.
Traduzione: niente vuoti di significato, tutti i sussulti dell'anima dello scrittore devono passare, fluire attraverso gli occhi e andare più lontano, al cuore. Era il suo lavoro ed Elsa lo conosceva bene. Ma questa volta era diverso, come se ogni parola fosse un occhio che le scrutava dentro cercando lo smembramento di ogni significato, separandolo da ciò che è superfluo, ridondante. Così fece molta attenzione e alla fine fu contenta quando, rileggendo il testo tradotto, sentì uscire dalle parole una musica intatta e dolce. Erano stati bravi entrambi.
 
Ma la pienezza di quella gioia l'attraversò un solo istante, poi il silenzio ripiombò dentro di lei. Con un sussulto feroce, il suo cuore le ricordò la ferita che da sei mesi si portava dentro. Era come se il dolore e il freddo della casa vuota le masticassero le ossa. Si sentì le gambe molli, quei neuroni che da mesi aveva spremuto concentrandosi sul testo erano di nuovo cani feroci, finalmente liberi di morderle il cuore, e lei era sola, senza nessuna anestesia.
Marcello, il suo compagno, era andato via, per un'altra donna, lui disse, no, peggio, per un'altra vita, lei sapeva benissimo, per una di quelle vite fatte di porte che si aprono e si chiudono in assoluta libertà. Per una di quelle vite fatte di valigie sempre pronte all' ultimo minuto, di viaggi e di altri occhi da guardare, una vita in cui puoi sprofondare comodamente in una poltrona ed essere libero di tacere, senza sentirsi più puntati addosso quegli occhi neri che un giorno aveva amato tanto.
Elsa in quei giorni capì che esisteva qualcosa di più feroce dell'abbandono, della frantumazione del cuore. Era lo sprezzo che chi hai amato può fare della tua vita, in un attimo, proprio come si fa con un vecchio paltò. Nessun senso di colpa velava gli occhi di Marcello quando le disse: "Questo è il mondo degli adulti, ognuno fa il proprio gioco fino a quando può essere leale, e io non posso più esserlo".
Parole dure, sassi che rompono il vetro.
Avevano vissuto insieme tre anni, tre anni di felicità piena, rotonda, di morbidezza dell'anima a volte frastagliata da lunghi silenzi, ma anche di ascolto, di buona cucina, di ottimo sesso. Tre anni da guardare molto lentamente, tre anni appiccicati ora solo alla sua pelle.
Traduzione: parole che devono restare abbracciate, che devono baciare gli occhi.
Stretta dai morsi della malinconia, quella mattina, non appena finito il lavoro, Elsa uscì con gli stessi abiti che aveva addosso. Raccolse i capelli in una coda con un brutto elastico, uno qualunque, entrò nello sgabuzzino, si tolse le pantofole e calzò le prime scarpe che trovò, facendo solamente attenzione che fossero basse, indossò il cappotto e uscì senza neanche prendere la borsa, chiuse con un giro di chiave la porta, mise in tasca le chiavi e si precipitò in strada. Appena fuori, cominciò a camminare molto lentamente, l' aria fredda le pungeva le guance, senza più tenerezza, un sole pallido e pigro la guardava fuggire dal mondo degli altri.
Presto la sua attenzione fu catturata da un uomo di mezza età che portava a spasso il suo cane, e pensò per un attimo a cosa potesse spingere qualcuno a legarsi a un cane così morbosamente da farlo uscire alle sei del mattino, tutto chiuso in un cappotto nel vano tentativo di ripararsi dal freddo pungente che ti taglia le guance, per vederlo comodamente defecare su uno di quei marciapiedi dove domattina un bambino finirà con immerdarsi le scarpe. I cani è pur vero che sono una buona compagnia, che danno affetto e calore. A-f-f-e-t-t-o...c-a-l-o-r-e, parole scritte su carta bruciata, amore, senso universale per esprimere qualcosa che tutti cercano e che non esiste, amore, provateci, pensò Elsa, è come inchiodare al suolo una nuvola.
Mentre camminava, invidiando profondamente quell'uomo capace di amare il suo cane, sentì un clacson dietro di lei, non le importava e nemmeno si girò, ma il clacson suonava nella sua direzione con una certa insistenza.
Elsa fu costretta a voltarsi, vide una macchina elegante con dentro un uomo che sorridendo abbassò il finestrino,"Signora Manetti, signora, salve, si ricorda di me?"
Elsa restò a guardarlo intontita, non conosceva quell'uomo, non sapeva come diavolo conoscesse il suo cognome, l'unica cosa che le risaltò palesemente agli occhi fu che si trovava di fronte a un uomo di bell'aspetto, vestito di tutto punto, dentro una macchina pulita seminuova. Trovò ridicolo e di pessimo gusto gettare tutta quella bellezza sotto i suoi occhi arrabbiati. Elsa fece un espressione dura, ma l'uomo cercò di non demordere continuando: "Signora Manetti, ci siamo conosciuti l'anno scorso, ricorda, durante una conferenza su Yois. Ricordo benissimo il suo intervento. Brillante!"
Così, un pò per buona educazione un pò per dignità professionale, inarcando le labbra come se dovesse inventare il sorriso per la prima volta, rispose mentendo: "Sì, anch'io ricordo." Non aggiunse altro.
Era molto imbarazzata, si sentiva sporca, come un oggetto impolverato scovato per caso in cantina. Poi l'uomo tacque ,ci fu un attimo di vuoto, la fissò meglio, capì che il viso della donna sicura e brillante che aveva conosciuto non c'era più. Fu lui questa volta a sentirsi in imbarazzo.
Per un attimo pensò di lasciarla lì insieme alle foglie morte del viale, poi si fece coraggio. "Sta andando da qualche parte, vuole che le dia un passaggio?"
Elsa pensò a un rompicoglioni che voleva rubarle qualcosa, un altro parere letterario, forse.
"No, grazie stavo solo facendo una passeggiata a piedi".
"Se non le dispiace faccio volentieri quattro passi anch'io, un attimo che parcheggio la macchina".
Elsa lo guardò rassegnata. Ne osservò l'aria fresca e gentile che usciva dal suo vestito blu.
Continuarono a passeggiare molto lentamente e il cielo di un gennaio freddo li guardava; la figura alta ed elegante dell'uomo accanto a quella piccola e trasandata di Elsa. Lui capì subito che il gigante era lei, un gigante chiuso in un cappottino di finta pelliccia. Restarono in silenzio, che a Elsa piacque e nel quale capì che quell' uomo non era un imbecill, ma una coperta morbida dove gettare un pò di solitudine. Pensò a Marcello, chissà con chi era, cosa stava facendo in questo momento, per chi stava cucinando, con quale nuova passione apparecchiava la tavola e per chi erano quei fiori sul tavolo.
Tornarono a vedersi. Un giorno affollato di pioggia e grandine grossa come pallottole, lui scivolò dentro il suo letto pallido e fecero l' amore in silenzio. Tra di loro nessuna parola, solo le pieghe dell'anima restavano scritte nella pelle .Lui le carezzò il corpo sperando in una resurrezione, e in parte ci riuscì, toccò il velluto ferito della sua pelle, le baciò gli occhi e i fianchi. Fu un piacere lento, comodo ma mai distratto.
Quando ebbero finito di fare l'amore, Elsa si alzò trascinandosi dietro la coperta, faceva freddo, se l'avvolse addosso e si versò da bere. Andò a sedersi di fronte alla finestra. Guardò fuori, aveva smesso di piovere e la grandine aveva lasciato un mantello di perle sui tetti. Il cielo cominciava a schiarirsi, restava solo una minacciosa corona di nuvole, smarrita e superflua, presto il blu sarebbe stato ovunque.
Pensò ancora una volta a Marcello, all'ultima volta che avevano fatto l' amore. Solo allora capì quanto aveva rubato alla sua vita. Il suo linguaggio scaltro e puttaniere era l'unico che non fosse riuscita a tradurre.
Lui si alzò e le andò vicino, alle spalle, Elsa chinò la testa all'indietro e lui le baciò la fronte, poi le sistemò i capelli dietro le orecchie, le tolse il bicchiere dalle mani.
"Non voglio sapere niente di quell'uomo", disse, e l'abbracciò forte."
 
Anna
 

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