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venerdì 10 maggio 2013

Racconto ospedaliero delle due di notte

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
 
"Sono seduta nella quarta sedia di destra. Era libera anche la seconda a partire da sinistra, ma per scaramanzia non mi ci siedo più su quella.
Credo che mi metteró a fare, tra me e me, "il gioco dei malati" per ingannare il tempo. Inizio io.
Di fronte a me c'è una famiglia, madre, padre, una bimbetta particolarmente brutta. Non so che cosa o chi stiano aspettando, fin'ora sono solo rimasti seduti, in silenzio, ognuno con i propri pensieri e gli occhi gonfi di sonno. Nessun malato individuato, anche se potrei azzardare sul padre. Mi asterró per ora. Di fianco a loro, nelle sedie gialle, c'è una strana coppia. La ragazza è molto grossa, sudaticcia, e continua a scrivere al telefono in modo frenetico, senza alzare mai gli occhi dall'apparecchio. Non ha la fede ma quello alla sua sinistra dev'essere il compagno. A differenza sua è molto magro e ha una mano enorme e rossa. Ecco, l'ho beccato! È lui il malato. E uno.
 
C'è uno spilungone, nell'angolo in fondo. Non riesco a vederlo bene, ma posso sentire che sta parlando con l'uomo al suo fianco. Si è girato solo per un secondo, e ho notato un arrossamento all'occhio.. Sarà lui il secondo malato? Non lo so. Facciamo che lo conto come mezzo punto. Ecco, le porte si aprono improvvisamente, e un rumore cigolante interrompe il quieto vociferare di bocche nella sala. Un lettino mobile! Zac! Preso, beccato! L'uomo sulla barella! E siamo a 2 e mezzo. Dietro, il corteo dei parenti, che viene invitato ad accomodarsi nelle poltroncine verdi vicino ai servizi. Di fronte a loro un uomo con un maglione dal colore improponibile, stessa tonalità dei capelli della figlia, un bel fucsia acceso. La ragazzetta gli tiene la mano, dev'essere lui il codice verde, anche se senza apparenti malanni. Dico lui, e a ragione visto che poco dopo è chiamato dal medico "Bianchi!". Si alza lentamente e va verso la porta a vetri dell'ambulatorio. Bene. Siamo a 3 e mezzo. Ora passiamo alla signora rossa con mamma bionda appresso. Sembrano in salute. Parecchio in salute. La vecchietta alta e magra continua ad alzarsi nervosamente dalla sedia, attraversa la sala brulicante di teste assonnate, e torna a sedersi a fianco alla figlia (o nuora?), che non ha mai smesso di parlare al cellulare. Sento in lontananza le parole "vergogna" "malasanità" "vaffanculo", troppo facile perfino a quest'ora creare un discorso collegandole tra loro. Quello di cui sono quasi certa è che abbiano accompagnato qualcuno che ora sta all'interno. Quindi nessun malato. Siamo fermi a 3 e mezzo. Passo a setaccio i miei compagni di nottata. Passerei volentieri oltre, ma per esigenze descrittive dovrò prendere in considerazione anche il punk cinquantenne che è appoggiato alla porta d'ingresso. Sta lì per poter uscire in fretta per fumare (cosa che ha già fatto almeno 15 volte in 3 ore). Ha pochi capelli tenuti insieme da un elastico che da l'impressione di creare una sottile coda lungo la schiena, bardata da una giacca in pelle che ha almeno il doppio dei suoi anni. Scarpe coccodrillate e jeans forati chiudono il quadro. Non è lui il malato, nonostante possa sembrarlo. Guarda ripetutamente l'esterno attraverso la porta a vetri, attirato dalla possibilità di poter fumare ancora un'altra sigaretta, e subito dopo rivolge le sue attenzioni verso un'anonima donna in fondo alla sala, che appoggia la testa al muro dietro di lei e sembra dormire profondamente. Apparentemente sembra sana, ma sono sicura che a breve scopriró cosa li ha portati qui stasera. Punto su di lei, mi prendo mezzo punto e arrivo in questo modo a quattro. Solo quattro! Saremo in cinquanta persone qui dentro, e i malati sono quattro? I conti non tornano. Mi alzo e vado in bagno, per riposare li occhi da questa asettica luce al neon e per riuscire casomai a scovare qualcuno dei malati ben mimetizzati tra la folla ospedaliera. I bagni sono puliti, in uno dei lavandini c'è una signora anziana che si fa bagnare i polsi da una biondina vestita con una tuta blu e grigia, con tutta probabilità la badante. Ti ho beccata svenevole vecchietta, siamo a 5. Uscendo dal bagno scopro che il mio posto a sedere è stato occupato da un uomo di colore, che gocciola sangue rosso intenso sul pavimento azzurrino della sala d'aspetto. Si accorge che sto fissando le chiazze sulle mattonelle, e si affretta a pulirle con un fazzoletto già impregnato di sangue. Distolgo lo sguardo per non avere un conato di stanchezza piu che di disgusto e vado verso le sedie all'entrata, ma colta dai sensi di colpa torno indietro e gli lascio il pacchetto intero dei fazzoletti di Disney che mia madre ancora si ostina a comprare facendomi puntualmente fare la figura della ritardata. Sorride, sorrido (sì, bello, grazie a te sono a 6!) e vado a cercare una sedia libera. C'è sempre la seconda a sinistra, ma proprio non ci riesco. Allora mi appoggio al muro e continuo la mia spasmodica caccia al malato. Da questo punto strategico riesco a vedere anche una fila di sedie che dal posto in cui ero seduta poco prima non notavo a causa di un'ingombrante colonna. Ci sono tre persone sedute vicine; parlano animatamente quindi suppongo siano insieme. Sono un uomo sulla cinquantina e due ragazzi, che si tengono la mano, sui 30. Il ragazzo si chiama Andrea, lo conosco, gli faccio un cenno con la testa e lui mi sorride a distanza. Non credo sia lui il malato, o almeno lo spero visto quello che gli ho augurato io 10 anni fa dopo che non si è presentato ad un appuntamento che proprio lui mi aveva chiesto. In ogni caso, malato non identificabile. A fianco dell'uomo piu maturo, una coppia di anziani ben vestiti. Lui parla fitto fitto, lei lo sta ad ascoltare annuendo di tanto in tanto. Gesticola incredibilmente veloce per la sua età, tanto che inavvertitamente colpisce un paio di volte il suo vicino di sedia. La moglie dispensa deboli sorrisi a tutti. Ha un foglio piegato in cui si riesce ad intravvedere la scritta "codice verde". Signoramia, ne ha ancora da aspettare. E forse anche io, ma intanto arrivo a 7. Vedo mia zia seduta nell'angolino opposto alla parete dove mi sono appoggiata io, mi guarda, sbuffa, alza gli occhi al cielo. Un caffè, serve un caffè. Le mimo il gesto della tazzina, mi strizza l'occhio e mi raggiunge. Almeno dieci paia di occhi la seguono fino a che non imbocchiamo la porta d'uscita. Non vale così, lei ha avuto il tempo di truccarsi e mettersi addosso quella magliettina bianca che farebbe girare la testa a tutti, io no. È un gioco sleale. La avviso di questo durante la passeggiata che ci porta fino alle macchinette del caffè. Prendo un lungo. La schiumetta in superficie non promette nulla di buono. Il primo sorso me ne da la conferma, ma ormai siamo qui e lo bevo tutto in una volta. Torniamo verso la sala d'aspetto. Mia zia ripete la sfilata durante il percorso di ritorno, io me ne sto addossata alla parete, dato che è da stamattina che sono truccata pettinata e (mal)vestita allo stesso modo, e non mi pare il momento di dover sfigurare ad ogni costo. Guardo il crocefisso appeso sopra alla porta, a fianco l'orologio segna l'una e dieci. Inizio ad aver sonno e le 4 ore di attesa si fanno sentire. La seconda sedia da sinistra è ancora la sola libera, maledico la mia fissazione superstiziosa e mi vado a sedere. Proprio lì, proprio su quella sedia. È strana la nostra mente. A volte non riusciamo più ad ascoltare una canzone che associamo ad un particolare momento della nostra vita, o a mangiare un cibo, a vedere un film.. o a sedersi su una normalissima sedia di un pronto soccorso, dove mi avevano detto che mia nonna aveva smesso di respirare. È strano, e finchè ci penso squilla il telefono di Andrea, che ha come suoneria "Verranno a chiederci del nostro amore".. Ecco appunto, giusto a proposito. Sempre stato fissato per Fabrizio quello. Mi ha dato buca, ma almeno aveva un buon gusto musicale. Il signore di fronte a me, quello logorroico, smette per un secondo di gesticolare e tira fuori un fazzoletto di stoffa che si porta al naso. Vabbeh. Pure mio nonno li usa, ma permetti che alle due della notte, per quanto io sia in una sala d'aspetto, non sia proprio lui quello a cui sto pensando, ma ad un pampano lontano troppo chilometri stasera, come ieri o come domani. Entra una donna in carrozzina, spinta da un signore con il camice verde, appena il tempo di aggiungerla alla mia lista (e siamo a 8!) che si apre violentemente la porta dell'ambulatorio. Esce un medico con mia madre, che è pallida e magra stasera.
No, non un'altra volta!
Schizzo lontano da quella sedia e le vado incontro, seguita da mia zia.
Mia madre sorride. Io tiro un sospiro di sollievo. Va tutto bene, nonna è fuori pericolo.
Le due sorelle si abbracciano, io vorrei abbracciare te e quella sedia, ora, ha smesso di farmi così tanta paura."
 
Irene
 

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