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venerdì 15 marzo 2013

Ho scritto, non hai letto

Sul letto c'è un uomo. Non dorme. Ha preso una polverina bianca che a essere prudenti non si deve mai comprare né avere né sapere che esista, ne ha presa tanta, ingoiandola, aspirandola, strofinandola sugli occhi.
Non riusciva più a muoversi, si era ammalato un anno prima e non parlava più bene.
La donna lo assisteva e non voleva che scomparisse, ma non ci pensava mentre lo aiutava ad andare in bagno, a vestirsi, ad alzarsi, mentre lo imboccava, non ricordava un tempo in cui erano stati felici o arrabbiati, ma in piedi, uno di fronte all'altro, un tempo in cui era tutto salute e tempesta, in cui sembrava che nulla sarebbe mai finito, non lo ricorda e neppure lo sa più che quel tempo c'è stato. Ora vuole solo che il suo compagno stia bene, così come è diventata la loro vita, lo accudisce come se non fosse mai accaduto nient'altro fra di loro, solo lei che lo cura e lui che giorno dopo giorno sta peggio.
Ha preso la polverina. Lei non può credere che non l'abbia nemmeno salutata, scritto un biglietto, guarda il corpo e pensa che non c'è più.
 
Ma lui l'ha scritto quel biglietto, con la grafia insicura di chi non controlla bene le mani, ha dovuto aggrapparsi alla penna e venivano delle a lunghissime, delle o, delle esse senza fine, che ha ricalcato perché fossero chiare e non tremanti come i suoi muscoli sfibrati. Ha scritto a lungo, o così gli era sembrato, senza fermarsi, respirando forte mentre la polverina faceva effetto e gli toglieva la penna dalle mani. Ha scritto tutto il suo amore per lei, quanto le era grato e come non fosse possibile che non si sarebbero mai rivisti, come odiava il tempo che sarebbero stati lontani e come gli piaceva, com'era bella anche adesso che non era più giovane, tanto che la guardava e non sapeva come dirle che nessuno al mondo sarà più di lei, non per lui, ma per chiunque.
Ora lei cerca quel biglietto, che non sa che esiste ma che sa che esiste, vuole trovarlo prima di chiamare il medico, prima di dire al mondo che il suo amore è morto, prima che il corpo che era venga portato via e cremato, come lui aveva chiesto. Guarda sul comodino, alza la boccetta che conteneva la polverina, sposta la sua poltrona, gli abiti, guarda nell'armadio e alla fine si stende a terra, che i suoi occhi guardino all'altezza della polvere, sotto il letto, senza trovare nulla. Si rialza e guarda l'uomo sul letto.
 
Così, capisce. Mette la mano nella tasca destra del pigiama, dove non c'è nulla, poi in quella sinistra. Il contatto con la carta ripiegata le fa mancare le gambe e gli cade addosso. Il suo odore è ancora lì, immobile, la piccola bolla di profumo del suo dopobarba, quello che lei stessa gli ha messo al mattino, dopo averlo lavato. Con la sua testa vicina apre il foglietto.
Segni, solo segni, un tu, poi righe e onde, niente che si capisca. Un io e un'altra parola, dire, forse. Nient'altro.
 

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