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venerdì 22 marzo 2013

Occhi chiari, cuore nero

Non è di qui. Ha camminato tutto il giorno per cercare un lavoro qualunque. È pulito, un giubbotto caldo, i pantaloni neri senza una macchia, la sciarpa gli copre il collo. Non è di qui, abita da due anziani che ne hanno avuto pena e gli hanno dato la cameretta della figlia, che non c’è più, ormai, perché è sposata. Lontana. Non tornerà.
Sono stati contenti, alla signora anziana fa piacere al mattino vedere i suoi occhi azzurri per casa. Lui sempre zitto, ha sentito e ha imparato quello che diciamo. Ora parla, poco con i vecchi, che lo guardano come fosse un figlio perduto, ritrovato ma cambiato.
Sono poveri, e lui deve lavorare, ma l’hanno mandato via dal ristorante dove stava.
Non mangia più nessuno, vai via. Ecco la settimana. Trecento euro, quattordici ore al giorno tutti i giorni, senza riposo. Però, a pranzo gli davano una pizza che mangiava in cucina. Si rideva, anche, anche se lui non capiva gli scherzi degli altri, rideva, gli occhi azzurri facevano piacere a tutti, la faccia tonda metteva quasi allegria anche agli altri.
Gli anziani possono dargli la cameretta e la cena, niente altro. Lui finge di non avere perso il lavoro, e non torna a pranzo, sennò la signora vecchia si metterebbe a preparare anche per lui e loro sono poveri, tanto che l’ometto basso non potrebbe rimanere. Dovrebbero affittarla, la camera della figlia. Perché rischiano di non mangiare, gli ultimi giorni del mese.
Lui è scappato dal suo paese perché era soldato e aveva ucciso e violentato e bevuto il sangue dei nemici. Una sola volta, ma gli era piaciuto. Non voleva. L’aveva fatto solo perché sembrava che se non lo avesse fatto gli altri avrebbero pensato che non era uomo o forse che era nemico, anche lui.
Ha messo la faccia nella ferita in petto all'uomo che ancora si muoveva, a terra. È stato il terzo, non ha cominciato lui. Lui ha finito, ha spostato la catenina col crocifisso e gli ha strappato il cuore con i denti. Quello che gli stava vicino gli ha detto bravo, che uomo, bravo, sei buffo col un cuore in bocca, con la faccia piena di sangue sembri un orsetto con la faccia da pagliaccio. Uno degli altri era andato a prendere un pezzo di specchio dentro la casa di quello che avevano ucciso. Lui si è visto. Ma non era un orsetto truccato da pagliaccio, Era un leopardo dei documentari dopo che hanno preso l’animale che inseguivano. Ha pensato che era bello. Gli occhi azzurri e il sangue nero. Bello. Il sapore di ferro in bocca. Bello.
Anche oggi ha girato tutto il giorno e tutti gli hanno detto che non c’è lavoro, che è pulito, educato, si vede che è un bravo ragazzo, ma non c’è niente per uno straniero, anche se è buono come lui. Si è fermato a bere una birra in un bar. Seduto come uno che fa una pausa dal lavoro.
Pensa che deve tornare a casa. Che i soldi sono finiti. Che deve succedere qualcosa. Che è stato troppo tempo a girare. Che troppa gente gli ha detto che non c’è lavoro. Che lui non sa pregare. Che vuole tornare a casa dai vecchi, ma non può dirgli che non ha più un lavoro.
Ha una cartella nera con tutti i documenti, il congedo militare del suo paese, una lettera che gli ha fatto il capitano in cui c’è scritto che è bravo, pulito, affidabile e che non beve. Se non il sangue, ma questo non l’ha scritto.
Nella borsetta c’è anche una foto di sua madre. Il vento in faccia e dietro la casa dov’è nato, circondata dall’erba che sembra la stessa che c’è qui ma non lo è. Gli manca, ma non ci tornerà, mai più.
Gira ancora tutto il giorno, no, no, no, non c’è lavoro, e lui risponde sempre con la testa chinata, solo rimane un poco di più senza dir niente davanti a quelli che rifiutano, a volte dispiaciuti, oppure comprensivi, o indifferenti, o arrabbiati, decine di facce tutte diverse che dicono la stessa cosa. Li guarda e respira con le narici che si aprono senza che lo voglia. Sente il corpo che si tende, dietro la testa, come se qualcuno che gli tirasse i capelli.
La sera scende dall’autobus, entra nel portone, sale al secondo piano, gli apre la vecchia signora. Ha le chiavi, ma lui suona sempre per non disturbare, non vuole approfittare. Tanto la signora vecchia sta alla finestra ad aspettarlo.
Le s’illumina il viso quando lo vede scendere dall’autobus. Si può mettere in tavola. Suo marito è già seduto e guarda la televisione. Si mette dritto per accoglierlo. Il figlio perduto, ritrovato ma cambiato.
Lui entra, saluta, si siede. La signora vecchia gli mette il piatto davanti.
Che fuma, come la ferita in petto di quello che aveva divorato. E sul petto della signora ondeggia una catenina d’oro come quella che aveva l’uomo ucciso.
Gli gira la testa, chiude gli occhi e quando li riapre vede la faccia dei vecchi che lo guardano preoccupati. Per lui.
Sta per dire qualcosa, ma capisce che domani non andrà ancora in giro a chiedere lavoro. Basta.
Si alza piano, stringe i pugni e guarda i vecchi. Con i suoi begli occhi chiari, la faccia tonda, come un orsetto.
 

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