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venerdì 26 aprile 2013

La figlia del giostraio

Siamo andati a prenderlo e volentieri pubblichiamo.
 
"La figlia del giostraio era cosa fina. Mi piaceva sta tipa.
Venivano dalla Camargue e c'avevano l'aria di chi non ha una casa ma ne ha tante sparse nell'anima.
Girava voce che rapissero i ragazzi e se li portassero con loro in giro per il mondo.
A me, l'idea di essere rapito mi stava bene, perchè avrei potuto stare senza algebra per tutto il tempo e vicino al corpo di Ninì, così la chiamavano in famiglia.
I miei mi dissero di stare in campana e così fecero anche i genitori dei miei amici. Il terrore degli zingari era ormai entrato in ogni angolo del mio quartiere.
Dice, già uno se la passa male co quattro soldi che prendi dalla fabbrica, poi mi devono rapire pure il figlio.
Ma io, niente! La capa non è mai stata bona.
 
Ninì mi dava sangue e io a lei sorriso.
Un giorno m'invitò tra loro. Saltai lo steccato e conobbi le facce vissute dei fratelli, lo sguardo sensuale della madre e il carisma del padre.
Per secondi brevissimi pensai di aver fatto la fine del tonno, poi il padre parlò portandomi lontano dal gruppo:
"Ho solo una figlia e tu la guardi spesso. Lei avere cuore e io anche. Se tu guardare lei dentro, io ritorno qui con le giostre in primavera, se tu guardi lei fuori io qui non passare più."
Restai in silenzio mentre lui aspettava da me una risposta, poi mossi la testa in segno di si e lui mi disse grazie. Quelle parole mi fecero crescere. Cominciai a pensare cosa guardavo di Ninì e piano piano mi accorsi che guardavo lei fuori. In primavera non passarono e, a quanto ne so, non passarono più per il mio paese.
A me nessuno mi rapì, ma divenni zingaro dentro."
 
Walter Da Pozzo
 

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