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giovedì 12 aprile 2012

Francesca Woodman

 
« Ho dei parametri e la mia vita a questo punto è paragonabile ai sedimenti di una vecchia tazza da caffè e vorrei piuttosto morire giovane, preservando ciò che è stato fatto, anziché cancellare confusamente tutte queste cose delicate »

Questo scriveva, prima di suicidarsi nel 1981, Francesca Woodman, fotografa ventitreenne. La sua opera gode di una retrospettiva al Guggenheim di New York.
Il mio incontro con lei è stato del tutto casuale. La mostra è stata vista da una persona che mi è cara come una figlia e che mi ha raccontato il suo sconcerto, il suo entusiasmo.
Ho iniziato a fare ricerche sulla rete e mi si sono parate davanti una serie d'immagini, in bianco e nero, per la maggior parte autoscatti, in cui Francesca si fondeva col terreno, con la carta da parati, con le macerie di interni, un tempo, nobili.
Sono alcuni anni che stanno riscoprendo le sue foto, sono quindi fioriti molti e profondi studi sul corpus delle sue intenzioni espressive, con una pervicace e salutare volontà di separare l'opera dalla tragica fine di fanciulla in fiore spezzata dalla "troppa vita", come ha scritto qualcuno dei commentatori.
Non voglio aggiungere nulla a quello che è stato e sarà scritto sui significati dell'arte della Woodman. Non ne sono capace e non ho gli strumenti analitici neppure per provarci.
Però voglio dire alcune cose.
 
Mi manchi, Francesca. Comprendo che le cose delicate che avevi fatto rischiavano di essere distrutte dal tempo, il tuo, che ti avrebbe resa diversa, amara, che avresti compreso che non avresti potuto, mai, essere migliore di com'eri nelle tue foto.
Però mi manchi, manchi a tutti quelli che non hai conosciuto. Manca il tuo viso, il tuo corpo di femmina eterna. Manca il modo in cui ordinavi le cose prima delle foto, manca come saltavi e come ti stendevi a terra, manca la tua persona, integralmente, che tentava di scomparire essendo, prepotente, viva.
Il poco è prezioso, ma il tuo è stato l'interruzione del desiderio di parlarti, di sentire la tua voce, di vederti mangiare.
Così, oggi mi chiedo cosa significhi infliggerci la tua mancanza, se c'era qualche alternativa, se non per te, per noi.
Che guardiamo quello che hai fatto e che cerchiamo di penetrare un segreto che non c'è. Tutto è così evidente, così doloroso.
C'eri, ed era bene, non ci sei più, ed è male.
Mi manchi, Francesca, e mi mancherai sempre.
 

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