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venerdì 27 aprile 2012

L'ultima notte

L'ultima notte del mondo sarà l'ultima che trascorrerà con lei.
La coincidenza lo ha stupito, ma non più di tanto. Aveva sempre sospettato che il loro amore fosse unico e sbilenco, come l'universo conosciuto, che la velocità della luce fosse superabile ma non lo fosse, che il suo modo d'arrabbiarsi fosse insopportabile e meraviglioso.
L'annuncio della fine, alla radio, durante una delle pause della stremata lite in cui avevano deciso di lasciarsi, l'indomani, era parsa la naturale conseguenza del reciproco abbandono.
Nessun luogo dove fuggire, nulla da fare per evitare il disastro.
Si guardano, dai lati opposti del tavolo, si vedono per quello che realmente sono, senza pietà e senza cinismo.
Si stenderanno, l'uno a fianco dell'altra, gli occhi al soffitto, insonni. Penseranno a quello che sarebbe potuto essere e non sarà, a quello che perderanno e si domanderanno se l'hanno mai avuto.
"Mi prendi la mano?", dirà lui.
"Non posso", dirà lei, "non ne sono più capace. Tu non lo vuoi davvero."
"No, lo voglio."
Gli sembrerà di sentire un singhiozzo, appena soffocato.
"Non mentire", dirà lei.
"Non piangere."
Un sospiro, lunghissimo, nel buio.
"Non piango per il mondo, piango per noi."
Si chiederanno come fosse iniziato, quando avessero avvertito i sintomi della prossima fine. Le estati sempre più fredde, i reciproci entusiasmi troppo esibiti, i silenzi improvvisi e invalicabili. Finché la primavera non era più arrivata, nonostante tutti l'aspettassero. Finché non avevano più parlato, ma si erano soltanto rammaricati.
Lei aveva fotografato, quando ancora c'era qualcosa da fare, i loro visi vicini e preoccupati.
Gli aveva scritto:
"Se non ti guardo non è perché non voglia farlo. Se non ti guardo e perché non riesco a sopportare il dolore che hai. Ti ho ingannato, almeno quanto tu hai ingannata me. Ci siamo sorpresi quando eravamo fragili e infranti e ci siamo detti che ci amavamo, oltre ogni dire, oltre ogni cosa, come se potesse essere vero.
Lo era, infatti.
Ci siamo detti che avremmo resistito a tutto, l'uno per l'altra, che nulla ci avrebbe fermati, che noi eravamo diversi, che era tutto diverso, che stavolta, stavolta, stavolta.
Ci siamo promessi e giurati molto più di quello che è ragionevole fare, perché eravamo innamorati, fieri e spaventati di esserlo. Nessun altro mai si è amato e si amava come noi, in nessun tempo, in nessun luogo, sotto nessun cielo.
Ma noi eravamo lì, tesoro mio, noi c'eravamo e se il nostro amore era perfetto non lo eravamo noi, fragili, infranti.
Così ci siamo accorti che la vita ci allontanava sempre di più, mentre non potevamo e volevamo, mentre non volevamo e potevamo.
Tutta la nostra esistenza era declinata al condizionale, avremmo, potrebbe, tutto racchiuso nelle doppie emme, nelle doppie bi che, oggi lo capisco, sono ostacoli che si parano davanti e che noi conoscevamo, ma questo non ci ha impedito di fermarci stupiti, come se non li avessimo previsti.
Ma ora che ci amiamo, ora sì, oltre il problema di amarci, cosa facciamo se non possiamo stare insieme? Non possiamo, lo sai, lo so. Cosa aspettiamo?
Che ricominci tutto da capo, fragili, infranti."
 
 
Alla fine, lui comprenderà cosa lei volesse dirgli.
Quando l'ultima alba del mondo tenterà, invano, di mostrarsi, si abbracceranno. Ma sarà troppo tardi.
 

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