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domenica 1 aprile 2012

Ognuno è su un'isola

Essere su un'isola distorce la sua percezione della realtà, di quella continentale a cui è abituato. Anche se l'isola è talmente grande da non essere quasi avvertibile come tale.

Non è ancora sceso fino al mare, nonostante viva nella principale città portuale. Non sa quando lo farà, forse guarderà il Mediterraneo soltanto dall'oblò che lo riporterà a casa, rimpiangendo di essere stato così pigro. Sarà notte, allora, e si domanderà perché ha sfuggito quel nero ondulato e semovente così simile alla brulicante vita sottesa della città dov'è nato, dove sta tornando e da cui non si separerà mai.

È stato il vento a ricacciarlo indietro ogni volta che lo prendeva la tentazione di scendere al porto. Un vento strano, dissimile da quello che conosce, continuo e immobile nella sua inesausta tensione. Un vento da isola, appunto.

I suoi amori sono lontani, irraggiungibili, gli sembra. Ne avverte quietamente la mancanza.

Una grave malattia ha colpito la madre di un suo caro amico e l'impossibilità di essergli accanto lo fa sentire solo. Si rimprovera per il suo egoismo.

Però, non riesce a pensare che al ragazzo con i capelli rossi.

Ha preso l'abitudine di andare, tutte le mattine, al bar con i tavolini in una delle piazze principali della città. Ha affittato una bicicletta, per coprire più rapidamente la distanza fra la brutta pensione dove dorme e l'approdo del caffè, dove passa tre, quattro ore in uno stato di attento stupore. Legge distratto i giornali e afferma con presunzione che sta comprendendo la vita dell'isola, dell'essere isolano, da quell'osservatorio immoto e privilegiato. Ovviamente non è vero. Ha capito solo che le donne sono molto scure e gli uomini raramente alti.

Qualche giorno fa è stato assunto un nuovo cameriere. Ha i capelli rossi, giovanissimo, magro, una lieve zoppìa alla gamba sinistra. La sua inesperienza lo spinge a sparecchiare completamente il tavolino dov'è seduto ogniqualvolta ordina un caffè. Porta via lo zucchero, il portacenere, il bicchiere d'acqua intonso, elementi che poi dovrà riportare. Ha bisogno di ordine, di finire, di ricominciare sempre da capo. Ogni caffè, un nuovo cliente. Poco importa se è sempre la stessa persona.

Il ragazzo è quasi sordo, non sa se per un difetto reale o per timidezza. Crede sempre di aver capito male, si fa ripetere l'ordinazione, sempre la stessa, un caffè ristretto, per favore, più volte.

S'intenerisce quando lo vede allontanarsi col vassoio malsicuro mentre combatte con la gamba incerta e la forza di gravità che pretenderebbero di far rovinare a terra tutto quello che faticosamente riesce a trasportare.

È un estraneo, capelli rossi, con la pelle bianchissima, su un'isola popolata da visi e capelli scuri. Come lo è lui.

Impercettibilmente, si rende conto, nei giorni seguenti, che inizia a zoppicare, in modo sempre più pronunciato. Tanto che comincia a dolergli la schiena. Si domanda se sta cercando di somigliargli o se è stato contagiato dalla sua diversità.

Le notti sono lunghe e insonni, sullo scomodo letto che amplifica, giorno dopo giorno, il dolore. Con lo sguardo al soffitto, incapace di ottenere una posizione che gli consenta di riposare, si dichiara, con chiarezza, che vorrebbe salvare il ragazzo. Ma non sa da cosa.

Vorrebbe farlo accomodare accanto a sé, spiegargli che la sua menomazione è preziosa, che il tentativo quotidiano di sconfiggerla è eroico. Che non è necessario che sparecchi completamente il tavolo ogni volta. Che è bravo e lo sarà sempre di più, anche se non si sottoporrà a prove estreme. Che portare un vassoio ricolmo su una gamba sola non fa di noi uomini migliori.

Sta davvero per dirglielo, quel mattino. Ma si ricorda che è su un'isola, che la sua percezione della realtà è distorta, che il ragazzo si sta battendo per la sua indipendenza da tutto, perfino dalle sue gambe. Anche lui ha fatto la stessa cosa e continua a farla, da sempre.

Può solo ripetergli che vuole un caffè ristretto e sorridergli. Anche il ragazzo gli sorride, ed è la prima volta.

La notte, finalmente, riesce a dormire.

 

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