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martedì 13 marzo 2012

L'amore silenzioso dei pesci che ci aspettano nel mare

Alcuni post non sono finiti, non hanno raggiunto, quando sono stati pubblicati, la loro forma estesa e definitiva. Ci permettiamo di rieditarli. Il titolo originale di quello di oggi era Acquario. Confrontateli, se volete.

Quando suo padre, finalmente, acconsente, avverte un giramento di testa così intenso che deve appoggiarsi con la schiena a una parete per non cadere.


Il genitore lo guarda, col sorriso storto di chi ha fatto una grande concessione ma perché se lo merita, è bravo a scuola, è educato, gli occhi grandi spalancati, dritti verso qualcosa che lui non sa cosa sia.

Lo ama, è suo figlio, ma non lo capisce fino in fondo. Quando parla, poco, gli racconta storie che non sa dove abbia preso, in un modo che lui non ha mai sentito. Sono gli unici momenti in cui il ragazzo si accende, in cui lo riconosce per il quasi adolescente che è e che a volte sembra scomparire dietro uno sguardo così maturo da spaventarlo, che lo fa sembrare anziano, di una vecchiaia piena di comprensione e pietà.

Si sente un bambino, sotto quello sguardo, come se suo figlio di undici anni avesse capito qualcosa che lui non saprà mai. Si preoccupa, teme che non farà una bella vita. Ha capito che per lui la felicità ha una forma diversa da quella che ha per tutti quelli che conosce. Ha paura che non la raggiungerà mai. Lo addolora, perché sa che non può farci nulla. L’acquario, forse, lo farà felice.

Il ragazzo va subito a prendere il libro sui pesci, in alto, nella piccola libreria del minuscolo salone. Si sistema sul tavolo della cucina, dove fa i compiti, per sfogliarlo per la millesima volta.


Avrà il suo acquario, piccolo, con tre pesci a farsi compagnia, non di più. Vuole che stiano comodi, che possano girare tranquilli e non incontrarsi per giorni interi, ma che abbiano sempre la sensazione di non essere soli.

Lo desidera da anni, da quando ha vinto un pesce rosso in un luna park, al mare. Ma era durato troppo poco, due giorni dopo, chissà perché, Lucio (così l'aveva chiamato) era finito a pancia in su, a galleggiare nella ciotola che sua madre gli aveva dato per tenerlo.
 Ora avrebbe avuto un acquario vero, con un piccolissimo galeone affondato, una cavernetta dove rifugiarsi e qualche alga di plastica.

Soprattutto loro, i tre pesci, quello trasparente che pare una radiografia, poi quello nero e rosso, e il suo preferito, il Corydoras, che sembra un piccolo squalo maculato.


Lui si è sempre sentito un pesce, nuotare silenzioso nel silenzio, i suoni ovattati e distanti, l’acqua che impedisce alla vita di aggredirti. Vuole scivolare con loro a fianco ma non toccarli, sfiorarsi, intrecciare curve complicate e rette prive di significato, affondare, risalire.

Intuisce che la bellezza del nuoto è nel gesto stesso, non nel suo scopo. Vorrebbe che tutti gli uomini e le donne del mondo fossero come l’acqua, lo conducessero, lo sostenessero senza impedirgli mai nulla, con amore silenzioso e discreto, indosso, mai lontani e mai vicini.

Guarda e riguarda i pesci, sul libro, li chiama per nome, sottovoce. 
Anche lui, quando arriveranno, non si sentirà più solo.

 

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