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venerdì 5 agosto 2011

Amina e Ahmed

Ahmed e Amina si conoscevano da quando erano bambini. Le loro famiglie non erano particolarmente amiche, ma loro due giocavano spesso insieme. Un giorno, Ahmed ha guardato meglio la ragazzina che era diventata Amina e l'ha trovata bellissima, un giunco, ha detto proprio così al fratello più grande, la sera. Il fratello non ha risposto nulla, ma il giorno dopo, al mercato, l'ha preso in giro davanti a tutti i suoi amici. Ma Ahmed non si vergognava ed era contento che Amina, lì accanto, avesse sentito. Il giorno dopo, Ahmed aveva aspettato che rimanesse sola, le aveva preso la mano e le aveva detto che voleva sposarla, un giorno. Amina aveva chinato il capo e quando l'aveva rialzato aveva sorriso così bene e così forte che non aveva neppure dovuto dire "Sì" perché Ahmed capisse che anche lei voleva stare con lui.

Dopo sette anni, Ahmed e Amina erano riusciti a mettere da parte i duemila euro che servivano per andare via dall'Eritrea, in Italia, e da lì in Francia, a Tolosa, dove qualche tempo prima era riuscito ad arrivare il fratello di Ahmed. Non potevano rimanere dov'erano, sarebbero morti di fame. Erano giovani, poco più che ragazzi, volevano lavorare, avere dei figli, vivere.

Amina è caduta in mare durante la traversata, con altre decine e decine di uomini e donne. Quel giunco che era il suo corpo probabilmente non verrà mai ripescato.

Ahmed è arrivato in Italia, guarda davanti a sé e non vede niente.

La cronaca dice cento morti, venticinque morti, dieci morti. Ognuno di loro sono un'Amina o un Ahmed. Li abbiamo perduti e non torneranno mai più.


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