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giovedì 11 agosto 2011

Zanza e il mare

Qualche anno fa, un mio amico ha attraversato una crisi di natura imprecisata ma non per questo meno virulenta. Imprecisata per me, ho capito in seguito, ma non per lui. Una crisi, diciamo così, esistenziale.
Il mio amico, chiamiamolo Zanza, per celare quanto possibile la sua identità, ha cercato le cause sommerse del diffuso malcontento che sentiva nei confronti della propria vita.

Zanza è un uomo di un'intelligenza molto superiore alla media, estremamente sensibile, con una bella famiglia, un lavoro che gli permette di guardare al futuro con serena fiducia e che lo nutre quotidianamente di stimoli sempre nuovi e gratificanti. Ha raggiunto un'eccellente posizione professionale e si è collocato fra i migliori del suo paese e, forse, d'Europa.

Tutto bene.

Ma Zanza, a un certo punto, ha denunciato una frattura fra quello che era e i sacrifici che faceva per accontentare tutti coloro che gli stavano intorno, moglie, figli, colleghi, datori di lavoro, amici, parenti e affini, per eccesso di generosità. Non lavorava quanto gli sarebbe piaciuto fare, a causa della famiglia, non stava con la famiglia come avrebbe desiderato, a causa del lavoro, e così via.
Ha intuito che l'unica soluzione era scegliere una cosa terza che avrebbe sempre voluto fare e che non aveva nemmeno iniziato, per come lo assorbivano sia il lavoro che la famiglia. Avrebbe dovuto fare una cosa senza costrutto immediato ma per puro, personale piacere egoistico.

Ha iniziato ad andare a vela, tutti i fine settimana.

Quando, molto tempo dopo, mi ha raccontato la bellezza di condurre, col vento in faccia, tredici metri di un mostro legnoso, nel silenzio totale, a parte lo scricchiolare di sartìe e lo sciabordìo delle onde contro lo scafo, sotto il cielo notturno più stellato che avesse mai visto, ho capito che aveva fatto la scelta giusta.

Ugualmente, quando ha aggiunto la gioia di condividere con quello che definiva "il suo equipaggio" (amici e amiche d'occasione, incontrati a causa della comune passione per la navigazione a vela) piaceri profondi ed elementari come la lettura a voce alta di un libro in un lungo trasferimento marino, ho pensato che era stato davvero bravo a uscire fuori con uno slancio così innocuo ed efficace da una situazione che avrebbe potuto portarlo a decidere, per esempio, di fuggire con una procace baby sitter ucraina verso le isole del sud, per poi tornare con la coda fra le gambe in seno alla famiglia e al lavoro di cui aveva pensato di voler fare a meno.
Poi ha parlato della natura, della meraviglia di sentirla così prepotente, minacciosa e nello stesso tempo rassicurante e materna, di come gli mancassero perfino le burrasche, perfino le bonacce in mezzo al mare in cui non c'era un alito di vento per ore.

"Ti mancano?", ho detto, "Perché?"
"Perché non ci vado più", ha risposto, "non ho tempo."
La crisi era passata? O non c'è modo di farla passare?

Voglio molto bene a Zanza, cerca sempre di fare del proprio meglio, con tutti, e a volte dimentica se stesso.
Non è un santo, è proprio così che si vive.

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