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giovedì 12 gennaio 2012

Il richiamo della foresta

 

 

"Il richiamo della foresta" di Jack London è un libro che abbiamo più o meno letto tutti, almeno tutti i maschi di una certa generazione. Era impropriamente definito come un libro per ragazzi, quando esisteva ancora questa categoria. L'avevo letto, comunque, e l'avevo messo nel mio personale scaffale dei libri che appartengono a una precisa epoca della vita, quella della formazione letteraria tramite contenuti semplificati. Quindi Salgari, Verne e, per l'appunto, London. Mi sbagliavo.

L'ho capito quando mi è capitato di leggere la traduzione di Gianni Celati, illustre scrittore e intellettuale italiano. Celati ha cercato di restituire, quanto possibile, la lingua originaria che ha usato London, ritmica, sincopata, come si conviene a un'epica ballata di frontiera. Ha lavorato sul testo originale, la copia fotostatica autografa di London, diversa dalle successive edizioni anglosassoni perché i voluti errori ortografici e sintattici dell'autore erano stati corretti.

Ho letto, quindi, un altro libro, nuovo.

 

Un cane grande, fiero, dalle misteriose origini genetiche, vive in una bella casa borghese, come un principe. Viene rapito, venduto e gettato nel duro mondo dei cercatori d'oro e dei cani da slitta. Impara a combattere e quanto l'uomo possa essere malvagio, senza motivo. Un nuovo e buon padrone lo salva, ma anch'egli muore per la malvagità di cui sopra. Buck, così si chiama il cane, nel frattempo è diventato forte e temprato come l'acciaio. Un altro padrone lo tratta da pari a pari, con rispetto e onestà. Ma ormai Buck ha capito che la sua vita è nella foresta di cui sente il richiamo, negli ululati dei suoi simili che gli chiedono di raggiungerli e di dirigerli. Nella vita selvaggia in cui ognuno è solo, senza infingimenti.

Fugge nella foresta e il suo ululato diventa una leggenda.

Quell'inquietudine da cui spesso siamo scossi somiglia a quella di Buck. La nostra personale foresta è sempre là fuori che c'invita a rischiare di perdere le certezze per sentire il sangue del rischio scorrerci ancora nelle vene. Qualunque scelta faremo sarà una rinuncia, o alla sicurezza o all'avventura.

Cosa preferiamo? Cosa siamo disposti a perdere? Cosa sceglieremo?

Cosa siamo, davvero?

 

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