Cerca in Lettere agli Amanti

Cerca in Lettere agli Amanti

mercoledì 18 gennaio 2012

Muhammad Alì

 

Mio padre non ha mai smesso di chiamarlo Cassius Clay, il nome da schiavo, come diceva Alì, che aveva voluto cambiare quando si era convertito ed era diventato un uomo libero.

Non eravamo appassionati di boxe, io e mio padre, ma Cassius Clay non era un pugile, era un'altra cosa. Un semidio e uno schiavo, un uomo con la schiena talmente diritta da rinunciare a un titolo mondiale pur di non partecipare alla guerra del Vietnam. Un ballerino e un assassino. Irrideva i suoi avversari e ne aveva pietà. 

 

Quando la Rai dell'epoca trasmetteva uno dei suoi incontri, mio padre mi convocava, ero un bimbetto, per partecipare al rito del nato perdente che ci vendicava, volando come una farfalla e pungendo come un'ape. Adorava, mio padre, quando Alì era in difficoltà, alle corde, ma usciva dall'angolo con un impossibile doppio passo per poi scagliare serie di destri e sinistri che annichilivano i suoi poveri avversari. Adorava il suo morire e rinascere, ciclicamente.

Lo adorava perché mio padre era Cassius Clay, lo schiavo liberato, e voleva che lo diventassi anch'io, nella borgata dove vivevamo. Non voleva che fossi un pugile ma che fossi libero.

Ho fatto del mio meglio, come lui, come Muhammad Alì.

Auguri per i tuoi settant'anni, Cassius.

 

Nessun commento:

Posta un commento