Non basta

 

Quando si è inginocchiata, non credeva che lo stesse facendo per stanchezza. Disperazione, piuttosto, il tentativo d'implorare la fine del suo tormento, un gesto (le ginocchia doloranti contro l'asfalto) netto e privo di senso, un breve, silenzioso grido d'aiuto. Di sconfitta, una richiesta di perdono, anche se non aveva chiaro quale fosse il delitto che aveva commesso. Ma doveva implorare qualcuno o qualcosa perché finisse il dolore. Doveva esserci qualcuno o qualcosa che fosse in grado di mettere fine alla sofferenza, senza toglierle la vita.

 

Ma non così, non così.

Aveva sempre creduto che ci fosse una distanza, una linea di confine fra il suo pensiero e il suo corpo, avvertibile anche se lieve. 

Ma gli abbandoni e le gioie avevano contraddetto questa idea. La sua mente e il suo corpo si erano fusi insieme in una sola, unica, palpitante entità.

Ora, con la perdita di lui, provava la stessa sensazione, ma nel senso inverso. Non c'era rimedio all'abisso di dolore, come non ce n'era stato alla felicità.

Lui non c'era più, e inginocchiarsi per strada non l'avrebbe fatto tornare. Ma forse un passante pietoso l'avrebbe sollevata, consolata, con il suo gesto le avrebbe mostrato che esisteva ancora una specie a cui lei apparteneva e che poteva difenderla.

Forse donne e uomini l'avrebbero ricondotta nel tempo reale dell'esistenza. L'avrebbero salvata.

Questo chiede, mentre scivola a terra, un braccio che la sollevi, una voce che la richiami dal buio dove sta affondando.

"Signora? Signora, non si sente bene?"

No, neanche questo basta.

"Venga, l'aiuto io."

Non basta, pensa mentre si rimette in piedi vacillando, mentre la sostengono e le si fanno intorno, cercando una sedia diove farla accomodare, mentre guardano il viso bianco e gli occhi chiusi. 

Non basta.