Temere

Sono molti i giorni in cui temo tutto. Di non essere all'altezza, di non riuscire a farmi valere, dell'eccedere nel farmi valere.

Esistono giorni in cui ritengo di non essere più in grado di scrivere, che per me è un poco come scoprirmi improvvisamente cieco, o paralizzato, o idiota.

Non sono gli stessi giorni in cui mi percepisco come inadatto, a quelli sono abituato, non mi creano nessun timore, solo una certa inquietudine e, infine, un'acquiescente accettazione di me.

Ma non essere più in grado di scrivere, di comporre piccoli manufatti non irrinunciabili, certo, ma in cui sia impressa, anche malamente, la mia essenza, quello è insopportabile.

Di norma mi accade quando mi confronto con altre scrittrici o scrittori. Metto in relazione il mio lavoro con il loro, così complesso e completo, e ne esco sconfitto. Tendo a non ingannarmi, quindi tutto mi sembra grossolano, volenteroso ma non volontario, da generoso dilettante. Non è così, spero, ma la sensazione non mi abbandona, a volte per qualche tempo.

Riesco a riemergere soltanto rileggendo qualcosa che mi ha fatto innamorare della lettura. Per fortuna i libri che amo, riamato, sono tanti, quindi non ho che l'imbarazzo della scelta. Alcuni hanno un potere più alto, altri minore, ma tutti sono consolatori, nella loro inarrivabile bellezza.

A volte basta una frase. Come oggi.

"Nessuno è più irrecuperabile di un bravo ragazzo che si è rovinato." Nemesi, Philip Roth, Einaudi.

Forse non l'avete letto, ma credetemi che non si poteva essere più dolorosi nella dichiarazione della propria impotenza non solo davanti alla persona di cui si sta narrando, ma di fronte all'intera, casuale e perversa arbitrarietà meccanica dell'esistenza. Non si può salvare, quel ragazzo, proprio perché prima di smarrirsi era un bravo ragazzo. È la sua passata bellezza a perderlo per sempre.

Allora, mi consolo. Non sarò un grande scrittore ma riesco a riconoscere chi lo è. Sono già molto fortunato.