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martedì 3 gennaio 2012

La signora delle orchidee

Come consigliato da alcuni lettori, abbiamo, da oggi, anche un indirizzo Twitter: @LetAgliAmanti. Fra qualche giorno inseriremo il pulsante per seguirci. Siate numerosi, grazie.

Comunque, riceviamo e volentieri pubblichiamo.


"Mi dice: “È solo che vi amo entrambe. Ma lei non lo potrebbe capire. Lei vuole essere unica."

Sorrido, stupita dalla superficialità della sua frase. “Tutti vogliamo essere unici."

Abbassa gli occhi, si alza dal divano e finge di leggere i titoli dei dischi nella libreria.

“Non so che fare", dice.

Lo guardo. Mi guarda. Lo amo, lo amo davvero e senza motivo.

Lo amo incondizionatamente.

Lo amo quando ride.

Lo amo quando passa in ufficio e non mi saluta.

Lo amo quando mi chiama per cognome.

Lo amo, e so che, dopo 20 anni di matrimonio, amo in parte anche sua moglie.


Lei, lui. Insieme da una vita. Stessi gusti, stessi gesti delle mani, stesse frasi dal panettiere, al banco del mercato, alla donna di servizio.

Mi guardo intorno. Lo sapevo che qui non ci dovevo venire.

A casa sua.

Sono seduta sul divano, cerco di occupare il minor spazio possibile, come vorrei fare nella sua vita. Ho caldo, mi tolgo la giacca. Lui ha scelto il disco. È un disco qualunque, voleva semplicemente non incrociare i miei occhi per qualche minuto.

Non ti guardo comunque, sai, non ti guardo. Ho paura di dirti troppo, non ti guardo.

Un disco jazz. Va bene. Generico.

Si siede accanto a me, mi prende la mano ghiacciata, sorride.

“Vi amo entrambe."

“È fredda. Fa freddo fuori, ormai."

“Mi hai sentito?”

“Sì."

“E quindi?”

Sorrido, per finta, mi alzo da quel maledetto divano che non ha un cuscino fuori posto e voglio piangere, , voglio piangere, ma non mi esce nemmeno una lacrima.

Le orchidee sono in fila lungo un bel mobile bianco, disposto intorno ai tre lati della stanza, così luminosa da farmi male agli occhi. Tra due vasi azzurri, un gatto in legno grezzo.

E fuori, la città.

Se avessi una casa mia, la vorrei esattamente così. Non cambierei nulla, forse un paio di quadri e quel maledetto divano.

Ecco perché penso di amare anche lei. Ovunque, qui, c’è lei. La sto conoscendo ora, nella sua stanza delle orchidee. Anzi, delle maledette orchidee.

“Non mi dici niente?”

Ah , ci sei anche tu, mi ero scordata.

Un ultimo sguardo intorno. Sei uno stupido. Perché vuoi complicarti una vita così maledettamente perfetta?

Una moglie perfetta, dei figli perfetti, una casa perfetta, un lavoro perfetto, gli amici perfetti, la villa al mare perfetta, le origini perfette, le conoscenze perfette, l’auto perfetta, il passato, il presente, tutto tutto maledettamente perfetto.

E io. Sì, io, l’imperfezione in tutte le sue forme. Ma io, poi, che ci faccio qui?

Questo a lui non riesco a dirlo.

Riesco a guardarlo, con gli occhi secchi che mi bruciano.

Sei uno stupido. Ma nemmeno questo gli dico.

Sorrido, come sempre. Ed è questo che lui ama di me.

Ama la mia età, il mio sorriso, il mio non dire “devi fare devi dire devi essere”.

Sono sei mesi che ama la sua piccola e meravigliosa ventata d’aria fresca.

Ma sono 20 anni che ama questa donna delle orchidee, dei cuscini maniacalmente disposti sul (maledetto) divano, la donna bellissima delle foto che ho disperatamente ma inutilmente evitato di guardare per tutto il tempo.

Non capisco la sua domanda.

Mi stai chiedendo se devi amare lei o me? Mi stai chiedendo di farti scegliere tra l’imperfezione e 20 anni di perfezione? Mi stai chiedendo di dirti di non amare più la donna che in fondo amo anche io, perché è in te?

Mi fa male la testa, mi fa male la mandibola, intrappolata in questo falso sorriso.

Ma mi fa male soprattutto il cuore.

Ho freddo.

Mi rimetto il cappotto.

“Ho dimenticato il cellulare in macchina. Mi apri un momento?”

Lui sospira. Mi apre. Sei uno stupido, mi hai aperto, non tornerò più.

No, mi ha aperto perché sa benissimo che scenderò le scale, piangerò ad ogni scalino, ma poi tornerò su, e quando aprirà la porta starò sorridendo.

È arrivata la tua ventata di aria fresca."

 

 

P.I.


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