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domenica 22 gennaio 2012

Non è colpa mia

 

Guardando il figlio che le porta il brodo, non può fare a meno di confrontarlo con Carla, la maggiore. Il sorriso storto di lui è così lontano dalla quieta autorevolezza dell'altra, da una specie di pena per loro che la madre vede continuamente nei suoi occhi, quando viene a trovarli.

"Mi devi tutto, lo sai?", le aveva detto l'ultima volta, mentre usciva, notando un ultimo sguardo di compassione.

"Sì, mamma, aveva risposto lei, "lo so e ti sarò sempre debitrice."

 

"Chiacchiere", aveva ribattuto lei, "quando ti vedo sembra sempre che ti sia pentita di venire, come se io e tuo fratello non fossimo degni della tua visita." L'aveva detto per ferirla, per alimentare il senso di colpa che, era sicura, lei viveva per la sua indiscutibile superiorità. Si è salvata da me, aveva pensato, perché non mi ama abbastanza. Altrimenti sarebbe rimasta qui, come suo fratello.

Ora Mario apparecchia con calma nel letto. Respira forte, le dà fastidio ma non osa dirglielo, per paura di scatenare la sua rabbia. Non contro di lei, per carità, ma contro se stesso. È capace, per un'osservazione, di mettersi a letto per giorni. Lei, la madre, non può permetterselo, ora che ha la febbre. Chi si occuperebbe di lei?

Dove ho sbagliato, con te, pensa, quando hai cominciato a voler dormire nel mio letto? Quarant'anni fa. Quando andrai via?

Mario le sorride ancora, aspettando che lei avvicini il cucchiaio alle labbra, che lo lodi per la perfetta cottura della pastina, o per l'esattezza della temperatura del brodo. Ovviamente la pastina è un pappone immangiabile e il brodo è freddo.

"Grazie, Mario, perfetto. Se non ci fossi tu..."

Mario si raddrizza, è felice, in un modo che la infastidisce. Non vorrebbe che stesse lì a pendere dalle sue labbra, non vorrebe vederlo così indifeso, con quella pallida luce di folle depressione sempre in agguato a margine del suo sguardo. Vorrebbe che fosse come Carla, appena uscita, che la compatisse, che ricordasse che donna forte era, e avesse pena per come si è ridotta. Ma Mario le si siede accanto, felice di aver fatto tutto per bene. Si costringe ad accarezzarlo. Quando se ne andrà? si domanda mentre l'uomo china il capo sotto la sua mano.

Carla piange mentre scende le scale. Non può far nulla per loro, è evidente, ma questo non basta a sventare il dubbio di essere una cattiva figlia, una pessima sorella, di essere ingrata, che il fatto che si sia salvata sta a lì a dimostrare che non ama sua madre. 

Salvarsi non la salva.

Passeranno ore prima che riesca a scrollarsi di dosso la marea oleosa in cui rischia di sprofondare ogni volta che vede sua madre e suo fratello.

Ma in questo momento pensa solo Non è colpa mia. Lo ripete come un mantra, fino a quando le parole perdono di significato, Non è colpa mia, Non è colpa mia, Non è colpa mia.

A casa, va in bagno, si lava il viso, si guarda nello specchio.

Mia madre è più bella di me, pensa.

 

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