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mercoledì 25 gennaio 2012

Mentre moriva

 

Mentre moriva non pensava che alla sua bicicletta. Mentre moriva non aveva altre visioni. Verde, una Bianchi di sessant'anni prima. 

Mentre moriva, solo le gomme bianche e nere, solo lo splendente manubrio, il piccolo faro quadrato. È finita, pensava, devo riassumere, devo dire qualcosa ai miei figli che piangono, a lei che sta qui accanto, devo lasciare un oggetto che racchiuda almeno una parte di quello che sono stato. Una parola, una frase, un discorso. Ma devo pensarli, prima.

 

Niente. La bicicletta si ostinava a mostrarsi nella sala da pranzo della casa dove viveva da bambino. Appoggiata sul cavalletto, il sellino bianco e marrone, le manopole nere. La visione si arricchiva di nuovi particolari, ora vedeva la carta da parati con i fregi verde pallido, il piccolo mobile che racchiudeva tutte le foto di famiglia, sentiva confusamente la voce di sua sorella, morta da molti anni e allora bambina, ancora in grado di provare gioia per qualcosa.

Era il regalo della Befana. A casa sua non arrivava Babbo Natale, ma la Vecchia Signora Sulla Scopa. Era lei che portava i doni ai bambini buoni. 

La notte aveva sentito suo padre montare la bicicletta e sua madre supplicarlo di far piano, di non rovinargli la sorpresa.

L'aveva chiesta lui. Ma non la voleva. Però, gli sembrava che fosse la cosa che dovesse chiedere un decenne, maschio. O almeno, che i genitori se lo aspettassero. Lui non voleva deluderli.

Mentre moriva, quindi, non stava evocando una gioia incontenibile, un ricordo straordinario e meraviglioso, ma un fallimento, l'incapacità di chiedere quello che voleva davvero, che non ricorda più ma che è sicuro non fosse la bicicletta. 

La scena si allarga ancora, si rivede bravissimo a ridere come in preda a una felicità incontenibile, attento a mostrarsi stupefatto e incantato. Non deve andare così, pensava, stavolta devo avere quello che voglio, devo dire l'ultima cosa, quella necessaria. 

Ma non c'è nulla da fare, si vede montare sulla bicicletta, fare un goffo giro per la sala da pranzo, si vede scivolare coi pedali e suo padre che lo sorregge con il lieve dispiacere di chi vede un figlio così diverso da sé. Mentre moriva, non riusciva a pensare ad altro.

Mentre moriva, sua figlia Giulia si avvicinava alla sua bocca. Mentre moriva le sussurrava qualcosa. Mentre moriva, la ragazza sentì bene le sue parole.

"Non mi ricordo una volta che non mi sia stato meno che vicino." Ha il viso rosso, Giulia, ha bevuto troppo. Sono scivolati nei racconti sui genitori senza neanche accorgersene. Roberto la guarda senza dire nulla, aspetta che lei ripeta quello che gli ha detto la prima notte che hanno dormito insieme. Gli altri, intorno, quattro o cinque bei trentenni in corsa, maschi e femmine, risoluti e presuntuosi, amici, aspettano con un gran sorriso stampato in faccia che lei racconti la storia, fino in fondo. 

"Lo adoravo, letteralmente. Lo sanno tutti che il primo uomo, per una ragazza, è suo padre." Ridono forte, ma non è una battuta. Roberto, che combatte da anni col fantasma, sospira.

"Per questo, mentre moriva, gli sono andata vicino, pensavo che toccasse a me stargli accanto. Stavolta." S'interrompe, un'ombra le passa sul viso acceso. "Mi ha parlato." Guarda il tavolo, improvvisamente il locale sembra ammutolire. Le ultime parole di un morto sono sempre degne di estrema attenzione. Non si ha più nulla da perdere, alla fine. Si dice la verità. Che forse vale per tutti.

"Scusatemi, scusatemi, ha detto. Ma di che, papà?" Sta per piangere, ha davvero bevuto troppo. "No, forse non ho risposto, non ho fatto in tempo." Roberto le prende la mano, sul tavolo. "Chissà che voleva dire", le dice piano.

"Sì", conclude Giulia, tirando su col naso, "chissà."

 

 

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