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martedì 29 novembre 2011

Quasi dicembre

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.




"Non riesco nemmeno ad immaginare di riuscire a toccarlo.

I capelli gli ricadono sulla fronte, senza arrivare a coprire gli occhi scuri.

È bello, è oggettivamente bello.

Ma non è lui.

Con tutta la forza che riesco a racimolare, permetto alle sue mani di sfiorarmi i fianchi, salire verso la schiena fredda di un quasi dicembre e arrivare al mio collo lungo, portatore di una testa che non sa riappacificarsi con il cuore, dopo di lui.


Mi sfiora con le labbra un orecchio. Percorre qualche centimetro della mia nuca con la sua lingua, e inizia a scaldarmi con il suo respiro caldo. Dovrei sentirmi bene.

Ma non è lui.

Provo, nel tepore di quell’abbraccio, a fare da mediatrice tra i due combattenti che mi ritrovo a portare addosso.

La mia testa.

Il mio cuore.

“È tuo” dice l’una.

“Non è lui” dice l’altro.

E io nel mezzo, in un abbraccio ragionato senza sentimenti.

Prego l’8 notturno di fare in fretta, di arrivare prima che la mia testa ruoti leggermente e riesca a baciarlo, senza il consenso mio e del suo storico avversario intrappolato dentro la cassa toracica. Sembra non abbia battito, questa notte.

Si, perché non è lui. È perfetto, ma non è lui, che di perfetto non ha davvero nulla.

Ascolto i rumori delle poche auto che passano senza riuscire ad afferrare la marcia più appesantita dell’autobus.

E prego l’8 notturno di fare in fretta, prima che il mio cuore si spazientisca, e mi faccia uscire da quel calore che aspettavo da tanto, senza il mio consenso e quello della sfera di razionalità intrappolata in un grosso berretto di lana grigio, che sta appoggiata alla sua spalla, ondeggiando al ritmo del suo respiro.

Che non è quello di lui.

Una mano scappa fuori dalla tasca, e cerca la sua, che è calda, e ruvida, e avvolgente.

L’altra rimane ben nascosta nel cappotto, stretta a pugno.

Perché sa che non sono le sue mani.

E non è la sua bocca.

Non sono i suoi capelli, la sua lingua, il suo respiro.

Però è perfetto.

Si stacca da me, mi sorride.

Mi sento sola e infreddolita.

E allora capisco che devo dire qualcosa. Perchè quel sorriso merita qualcosa di più.

Scatta il verde, e l’8 accosta di fianco a noi.

Gli sorrido, in silenzio, e salto sull’autobus che chiude le porte dietro di me e parte, lasciando a quella fermata la mia decisione.

Sento il peso della mia testa e il battito del mio cuore, e capisco che la guerra tra loro non finirà mai.

Mi siedo e apro un suo libro. Il segno lo tiene una foto di un lui perfetto, che però non è lui.

“È tuo” dice la testa.

Si, ma non è lui” dice il cuore.

Non finirà davvero mai, tra loro.

E io, nel mezzo, provo a vivere."


Irene


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