Cerca in Lettere agli Amanti

Cerca in Lettere agli Amanti

domenica 13 novembre 2011

Uccidere, quinta parte

Le altre quattro parti sono state pubblicate precedentemente.

"Perché ha voluto vedermi?" Glielo chiedo, ma so già la risposta.
Si mette comodo sulla sedia dove si è seduto la prima volta che ci siamo incontrati, ma stavolta sembra a disagio, non ha più la sicurezza che dimostrava allora, mi guarda inquieto, non ha quel sorriso colossale che gli copriva il viso. Tutt'al più, una smorfia, che lo fa sembrare ancora più basso, sembra sparire sulla sedia. Ha passato una brutta nottata, questo è evidente.
"Qualche chiarimento", risponde a voce bassissima, tanto che mi devo sporgere sulla scrivania per sentire le sue parole, "non riesco a capire delle cose."
Lo immaginavo. "Mi dica."
"Perché vuole ucciderla?"
L'ha detto tutto d'un fiato, a voce troppo alta, stavolta, un gridolino spaventato.
Prendo tempo.

"Ero sicuro che la cosa non la riguardasse. Faceva parte del nostro contratto."
"Sì."
Aspetto che aggiunga qualcosa. Niente. "Quindi?"
Abbassa lo sguardo. È la prima volta che lo fa, da quando lo conosco.
"Non lo so", risponde, "sua sorella Kiara ha una vita ritirata, elegante ma irreprensibile, non riesco a trovare motivazioni per cui lei debba ucciderla."
"Non riesco a capire", rispondo con durezza, "per prima cosa come lei possa affermare che la vita che conduce mia sorella sia irreprensibile, dopo averla seguita per una sola settimana. Secondo, non sta a lei giudicare le mie motivazioni, che comunque non la riguardano."
È sul punto di sollevare un'obiezione. Lo fermo con severità. "Vuole rinunciare all'incarico?"
"Sarebbe la prima volta." Ha risposto in un soffio.
"Allora? Sì o no?"
"Kiara vive sola", risponde, "esce di casa alle sette e trenta, raggiunge con la propria auto il posto di lavoro, segretaria amministrativa nell'azienda di profilati metallici di cui lei è proprietario. Rientra intorno alle diciassette e trenta. Dopo circa un'ora esce di nuovo per acquistare il necessario per una cena leggera. Quindi legge fino alle ventitré, ventitré e trenta. Spegne la luce e si addormenta. Il mattino successivo, si alza alle sei e quarantacinque e ricomincia tutto da capo. La sera, a volte, ascolta musica classica, di preferenza Brahms, la Terza. O Bach, i concerti Brandeburghesi. Sabato e domenica fa delle lunghe passeggiate nel parco che dista duecento metri dalla sua abitazione. Non incontra nessuno, non parla con nessuno, non cambia mai abitudini."
Sembra esausto.
"Non ha trovato il modo di eliminarla?"
La smorfia che un tempo era un sorriso emerge lentamente dal lato sinistro del suo viso. "No, l'ho trovato, ma mi domando perché."
"Se le dicessi che è una questione di giustizia? Che mia sorella merita di morire? Mi crederebbe?"
Rimane a guardarmi imbambolato. Un bambino colto in fallo.
"Non lo so." È sul punto di piangere.
Getto lì l'ultima frase con studiata dolcezza. "Le assicuro che è esattamente il motivo per cui deve morire. La colpa di cui si è macchiata è orribile e anche se la legge non può perseguirla, io farò in modo che venga punita. Da lei o da qualcun altro come lei."
Scuote il capo sproporzionato.
"Se non sarà lei, lo farà un altro, meno pietoso, un vero professionista."
Ho ferito il suo orgoglio. Si rialza sulla sedia.
"Non c'è professionista migliore di me."
Accolgo in silenzio le sue parole.
Si è definitivamente ripreso. Ammaccato, ma ancora ritto. Scende dalla sedia, con i passettini che gli permettono le sue gambe minute si avvicina alla porta. Sulla soglia si volta teatralmente, risfodera l'antico sorriso che gli copre il volto.
"Avrà presto notizie. Mie o di Kiara."
Esce in fretta.
Quando dice il nome di mia sorella sento nella sua voce una strana sfumatura. Me ne dispiaccio.
Fra poco sarà tutto finito.

Nessun commento:

Posta un commento