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venerdì 10 febbraio 2012

Arrivo


Fa il bigliettaio per vocazione.

Non che avesse modellini, da bambino, plastici di treni giocattolo. Li ammirava, ma non gli piacevano più di tanto.

Né era figlio di ferrovieri, o nipote, né aveva un qualunque parente collegato con le ferrovie.

Non abitava accanto a dei binari o a una stazione, non aveva nessun rapporto fisico con i treni.

Quando aveva cinque anni fece il suo primo viaggio. Ma non fu l'avvenimento in sé a perderlo.

 

Fu l'arrivo. Fu la stazione. Arrivare è quello che gli piace più di tutto. Gli sembra di aver compiuto qualcosa, di aver portato a termine una missione. All'inverso, odia le partenze, le sopporta soltanto perché la loro naturale conclusione è l'arrivo.

Le rotaie rendono superflua qualunque opinione su quale sia la migliore strada da percorrere.

I respingenti in fondo al binario delle grandi stazioni, le banchine che rendono tutto certo, immobile, raggiunto, gli permettono di essere sereno. Sono inesprimibili i pensieri che nutre quando tocca terra, scendendo dal vagone. Pace, ma anche nostalgia per quello che è stato, per il viaggio. Sottile, difficile da avvertire se non prestando a essa una grande attenzione. 

I primi tempi riteneva la nostalgia fosse un disturbo, quasi l'evidenza che la sua vocazione non fosse sincera. Solo più avanti ha compreso che non poteva essere disgiunta dal viaggio e che fosse, anzi, il motore necessario per il viaggio successivo.

Così, ha imparato a guardare la sua vita come un insieme di tratte, di segmenti, godendo della precisa spezzatura a cui era sottoposto, di esistere per segmenti con dei piccoli circoli all'estremità.

Non si era mai fatto una famiglia, qualcuno da cui tornare davvero, perché non prevedeva di tornare in un solo luogo.

Se avesse avuto un figlio, però, gli avrebbe evitato di scegliere il suo stesso lavoro. Solo lui può farlo. Solo lui è in grado di tollerare la solitudine assoluta e quotidiana del viaggiatore di professione. 

Ne ha sofferto una sera, specialmente, sfrecciando nella pianura buia, i vetri infranti dalle gocce di pioggia, quando ha visto, illuminato dal lampo, un gruppo di amici che si affrettavano risalendo il fianco della collina verso case piccolissime con le finestre illuminate, dove avrebbero trovato riparo e calore.

L'immagine è indelebile nella sua memoria, sente quasi le loro risa mentre corrono, le esclamazioni, gl'incitamenti.

Non potrà andarci mai. Lì il treno non si ferma.

Solo lui può sopportare che gli amici si perdano nella scia delle ruote, che vengano dissolti dalla notte.

Se nel bel mezzo di quella visione qualcuno fosse salito al volo sul treno, avesse aperto la porta di sicurezza, fosse rotolato fradicio e ansante dinanzi a lui, avrebbe potuto chiedergli: "Ti piace il tuo lavoro?"

Solo in quell'istante lui avrebbe potuto rispondere:

"No, non viaggiate."

Ma il momento seguente sarebbe già stato rapito dalla stazione successiva, dall'inevitabile arrivo.

Nulla dura, pensa il bigliettaio, appoggiando la fronte al vetro del finestrino. Nulla dura, se non la fine.

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