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mercoledì 22 febbraio 2012

Il tacco rotto, seconda parte

"Ho una festa, stasera, e mi si è rotto un tacco." Stasera, urgente, come un'invocazione. Le risponde senza guardarla, seccato per quell'invasione e per l'irrequietezza giovanile della voce. "Per stasera non posso far niente, è troppo poco tempo. Ho molto da fare, dovrei lasciare altri lavori indietro." Bofonchia un mi dispiace fra i denti e si siede ostentatamente iniziando a prendere un paio di stivali da risuolare. Da uomo. La ragazza rimane immobile, non la guarda ma può sentirne il silenzio interdetto, l'incapacità di andarsene. L'ha colpita con uno schiaffo. La vita è dura, il mondo non gira intorno a te.

Ma quello che si aspetta, preghiere a cui risponderà con sempre maggior maleducazione fino alla fuga finale fuori dal negozio, non arriva. La ragazza non si muove da davanti a lui, ne sente il respiro. Alza gli occhi malvolentieri.

"Ha capito?", dice.

 

"Sì", risponde. È poco più di una bambina, sedici, diciassette anni. Ha le labbra in giù, come una bambola triste. Gli occhi neri brillano nella poca luce della quasi alba invernale.

Si appoggia al mobiletto dove ripone i lavori da consegnare. Agita la busta e poi la lascia ricadere.

"Ne ho bisogno", sussurra, "ne ho proprio bisogno."

"Tutti abbiamo bisogno di qualcosa", dice il calzolaio, tornando agli stivali. Non è italiana, ucraina o russa, non dev'essere così giovane.

La ragazza scioglie ogni dubbio. Gli porge la mano. "Svetlana." Lui non la tocca, neppure alza gli occhi.

"Svetlana", insiste lei, "tu aggiusterà questo tacco."

Lui posa gli stivali, la guarda fisso negli occhi. Odia le sfide, ma non ha paura di una ragazzina. Non più.

"Perché?", dice.

"Perché altrimenti morirò", risponde Svetlana.

 

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