Cerca in Lettere agli Amanti

Cerca in Lettere agli Amanti

venerdì 24 febbraio 2012

Il tacco rotto, quarta parte, fine

Svetlana annuisce con vigore, mentre la speranza le solleva le labbra in un sorriso che lui è certo di riconoscere, anche se non l'ha mai visto prima.

"Va bene, alle sette." Gli serviranno molte ore perché si senta pronto a toccare quella scarpa..

La ragazza si siede sullo sgabello dall'altra parte della bottega.

"Stasera", ripete ruvido, "vuol dire sì."

"Rimarrò qui", dice Svetlana, "le farò compagnia."

Che è la speranza che lui aveva quando ha detto di sì, comprende Augusto, mentre la guarda rischiarare tutta la bottega.

Rimangono per molto tempo in silenzio. Deve essere lentissimo mentre compie il lavoro. Appena finito lei andrà via, non vuole che accada troppo in fretta.

Ma dovrà succedere. Tutto quel si ama si perde, prima o poi, l'ha imparato a proprie spese da quando quella tazzina si è infranta ai suoi piedi, e anche prima, quando sua madre è scomparsa, lasciando lui e suo padre senza un saluto, o quando l'altra Svetlana, quella che tanto le somigliava anche se aveva un altro nome, gli ha carezzato il viso dicendogli no, tenera e irrevocabile. Non gli resta che nutrirsi del suo respiro, del profumo del suo alito mentre gli racconta la sua storia.

 

"Non sono italiana. Ma questo l'hai già capito. Non sono giovane come sembro, ma anche questo lo sai già. Sono arrivata qui un pomeriggio d'agosto, mentre tutto prendeva fuoco e io sudavo.

Prima, niente di strano, niente da dichiarare, come si dice alla frontiera. Madre, padre, sorelle, fratelli, una campagna che ci odiava e che voleva ingoiarci. Sono scappata, senza guardare dove andassi. Nessun aiuto, nessun uomo che mi guidasse. Sola e forte.

Sono la badante di un vecchio signore, molto vecchio, più di te addirittura. Mi ha detto che stasera vuole smette di vivere, dopo la festa. La nostra festa. Vuole che io sia l'ultima cosa che veda nella vita. Bella, ha detto, col vestito rosso e queste scarpe, che erano di sua moglie. Vuole che sia tutto perfetto.

Non sono io che morirò, ti ho imbrogliato, sarà lui. Ma se non fossi perfetta anch'io non vorrei più vivere, non come prima."

Una parola alla volta, dev'essere passato un tempo lunghissimo mentre raccontava, un tempo che non è vero, anche se lo è. Non può negarlo, nel negozio non si vede quasi più nulla se non il suo profilo e il chiaro dei suoi capelli.

Quando è scesa la notte?, si chiede, o è ancora l'alba che non riesce ad apparire?

Quando è diventato buio?, si domanda, o non vedo più?

Sembra di stare su una giostra, come quando era bambino, sul cavallino nero che dondolava. Non vale la pena scendere, tanto a terra è uguale, nulla si ferma.

La scarpa, riparata perfettamente, compare fra le sue mani. È passato il tempo, allora, è notte. Mentre la porge a Svetlana ricorda che non si chiama Svetlana, che non sono nella sua bottega, che respira a fatica, che non può muoversi.

Ricorda che aveva deciso di non ricordare.

Ma la memoria è più forte di tutto, vuole arrivare al cuore e spezzarlo, tanto ormai non serve più.

Gli piacerebbe che cantasse, senza parole, che attraversassero insieme il buio per giungere all'alba del giorno dopo. Si è concentrato solo per far questo, negli ultimi tempi, lo ricorda, per arrivare a rivederla illuminata dalla quasi alba mentre entra nel negozio e gli chiede di riparare la scarpa. Mille e mille volte l'ha vista, mille e mille volte le ha risposto duramente, mille e mille volte ha accettato il lavoro.

Ricorda che ha solo quindici anni. Chissà cosa significa quell'allucinazione, chissà perché proprio un vecchio calzolaio, perché lei dev'essere straniera.

Chissà perché la dottoressa ha tinto di biondo i suoi capelli.

 

Nessun commento:

Posta un commento