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giovedì 23 febbraio 2012

Il tacco rotto, terza parte

Svetlana lascia scivolare fuori dalla busta il più bel décolleté che lui abbia mai visto. Un trentasei nero, di raso, dalla linea perfetta, con la punta né troppo lunga né troppo corta, insensibile alle mode, l'incantevole curva che scopre il collo del piede, della misura adatta a non far intravedere la base delle dita ma che neppure le nasconde totalmente. Una scarpa che avrebbe destato ammirazione cinquant'anni fa come domani, tanta è la cura che il fabbricante ha usato per costruirla. È in grado di riconoscere un capolavoro, quando ne vede uno.

 

Si pulisce le mani su un panno, prende la scarpa con rispetto e ammirazione. Il tacco, alto, sottile e imperioso, si è staccato ma non completamente. Non si può riparare con la colla, rischierebbe di sciupare il tessuto soprastante. Va tolto completamente e riinnestato con i più minuscoli chiodi che sia possibile trovare, a scomparsa. Quindi, il raso va ripiegato all'interno, senza far notare la giuntura neanche con una lente d'ingrandimento.

È un lavoro delicato. Un tempo ci si sarebbe tuffato con tutto sé stesso, certo di eseguire perfettamente il compito, ma ora non se la sente più, teme di rovinare per sempre la bellezza della scarpa.

Per lui è importante la bellezza, ripeto, nonostante se ne sia distaccato, col tempo. Ma l'ha fatto perché gli era divenuta intollerabile la tensione che doveva sopportare temendo di rovinarla. Aveva perso l'incoscienza di chi svolge un lavoro perché così deve fare. Più notava la rarità della bellezza, più la temeva come qualcosa che poteva essere distrutta con un nonnulla, per sbadataggine o, peggio, per noncuranza.

Era stato un tremito delle mani che gli aveva causato l'allarme iniziale, mentre beveva il primo caffé della giornata. Era rimasto a guardare la tazzina muoversi impercettibilmente, fra le sue dita, col lieve ondeggiare del liquido scuro che lo minacciava. L'aveva lasciata cadere e aveva pulito e rimosso i cocci piangendo, quasi, sentendo che da quel momento nulla sarebbe più stato come prima. Se qualcuno glielo avesse chiesto, avrebbe risposto che sì, quel giorno era diventato vecchio.

Si rende improvvisamente conto del suo sguardo acquoso, quando lo solleva verso la ragazza. Se ne vergogna. Ecco, pensa, avvertirà che tutta la mia esperienza non serve a nulla con queste mani tremanti. Non vuole deluderla, però.

"Stasera?", si sente rispondere.

 

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