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mercoledì 15 febbraio 2012

Celentano a Sanremo

 Scriviamo questo post quasi in presa diretta, mettendo da parte l'altro e migliore che avevamo preparato per oggi. 

Come sapete, tentiamo di sfuggire quanto possibile alla cronaca, ma a tutto c'è un limite. Sappiamo anche che a non tutti piacciono i post di Lettere che alcuni amici hanno definito "corsivi", ma non è possibile stare in silenzio davanti all'immensa quantità di pacottiglia moralistica e offensiva dell'intelligenza umana che è stata propinata da quello che era un grande artista.

 

Non siamo neppure in grado di decodificare l'insieme degli orientamenti contraddittori emessi in lunghissimi minuti di una televisione di rara bruttezza. Facciamo seguito al post di ieri, "Bamboccione sarà lei": perché, se non si ha più nulla da dire e lo si dice anche male, non si resta a casa, con una bella copertina sulle gambe ormai fredde, a ricordare i bei tempi andati mentre la badante scalda la tisana anti prostatite?

Alla fine, dopo Pupo e la Canalis (che interpretava l'Italia, sembrava uno scherzo), dopo aver insultato Aldo Grasso e l'Avvenire, con un inopinato Battiato registrato che omaggiava una bellissima Milano anni '60, "nella luce dorata" che nessuno peraltro ricorda, finalmente Adriano si è allontanato.

A questo punto, la ciliegina sulla torta: il pubblico del Festival si è alzato onorandolo di una standing ovation,  fuori luogo oltre ogni dire.

Forse abbiamo visto male, ma ci è davvero sembrato di aver assistito alla fine di un'epoca sciatta e cialtrona, presuntuosa e vuota. Non per il povero Celentano, per carità, che faceva anche tenerezza nella sua insulsaggine fintamente provocatoria. Ci è parso d'intravedere il suicidio di un'era idiota, colma di strepiti e grida, senza significato.

O almeno, lo speriamo.

 

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