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mercoledì 21 settembre 2011

L'attore

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

"Semino lettere e aspetto che germoglino parole.
Davanti all'immensa opportunità di un foglio bianco, diventa tutto possibile e tutto estremamente complicato.
Nascono inspiegabili blocchi, insicurezze e ingiuste autocensure.
Mi chiedo il perché, mentre ti scrivo e sono emozionata.

Ti ho conosciuto che pensavo a te come quando una bambina pensa a una persona grande, un adulto.
Facevi il teatro, mi dicesti, o comunque qualche cosa che aveva a che fare con il “mondo dello spettacolo”.
Avevo paura, come gli studenti hanno timore degli insegnanti, come i pazienti temono i medici, come i figli sono remissivi nei confronti dei genitori.
Il tuo mondo mi sembrava altro dal resto e così anche tu.
Avevo paura ma ero anche molto incuriosita e affascinata. Gli attori mi sono sempre sembrati immortali, sopra il palcoscenico.
Qual'è la differenza tra spettatore e attore?
È per magia, pensavo da bambina, che degli uomini e delle donne possano ballare e cantare chiusi dentro una scatola così piccola?
Così ballavo anch'io, ma intorno al tavolo della cucina di nonna mia.
Era una magia vedere altri uomini e altre donne giocare a far finta di essere uno, nessuno e centomila personaggi e ricevere tanti applausi? Così tanti io non li avevo sentiti mai, nemmeno quando papà batteva le sue, di mani, e io, piccola, accanto a lui, cantavo stonata “ L'allegro caribù”.
Quando mi chiedevano cosa avrei voluto fare da grande, indicavo la televisione e tutte quelle mani che applaudivano. Forse volevo “diventare qualcuno”, e guadagnare tanti soldi.
Ecco, sì. Quando ti ho conosciuto, pensavo che tu fossi quel “qualcuno” ed egoisticamente che potessi insegnarmi un'arte, un mestiere, che potessi aiutarmi a trovare lavoro, e a rendermi immortale.
L'ho capito solo dopo, quando ho dato un altro nome alla nostra frequentazione, che le cose non stavano proprio così.
L'ho capito quando t'ho visto sospirare davanti alla stampa in bianco e nero del Signor Antonio De Curtis, dopo che ti avevo chiesto: “Che cosa serve per recitare bene?“
L'ho capito quando mi dicevi con enfasi e carattere che la comunicazione è la ricchezza più importante, non solo per essere un buon attore ma anche per vivere al meglio.
L'ho capito quando, nonostante le mie infantili insistenze sull'imparare a leggere bene senza cantilenare una pagina de "I tre moschettieri”, all'ennesimo inutile tentativo mi hai stretto tenero e con tono sincero, senza ironia, mi hai detto: "Hai fatto meno schifo del solito."
Con te ho capito che molto spesso esaminatore ed esaminato sono la stessa persona, come attore e spettatore, come me e te.
L'ho capito quando ho dato un nome diverso alla nostra frequentazione.
Amore."

Elena Capparelli

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