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venerdì 30 settembre 2011

Titta

Dopo il primo gemito, Claudio aveva già capito come sarebbe andata a finire. Del resto, non aveva mai creduto che la loro storia sarebbe potuta durare più di tanto. Troppo bella, Titta, troppo giovane, troppo irrequieta. Avida, di vita, per carità, non di altro, ma insaziabile.
Claudio non ascoltava più, guardava quei grandi occhi neri pregarlo di lasciarla andare, di non obbligarla a rimanere con lui contro la sua volontà. Un velo di lacrime annebbiava gli occhi dell'uomo. Non devo piangere, si diceva, non davanti a lei. Ci sarà tempo per gridare e soffrire, da solo, non appena sarà uscita.
Aveva sperato che sarebbero rimasti insieme per tutta la vita, ma aveva sempre saputo di essere soltanto un'interludio, di essere temporaneo, contingente.


Ricordava le lunghe passeggiate, i pasti che lei consumava con giovanile frenesia, golosa come può esserlo solo una creatura luminosa e fresca. Le notti, quando rimaneva sveglio a guardarla dormire abbandonata, sognando chissà cosa.
Ancora gemiti, ancora gli occhi neri su quel naso affilato e perfetto. Non riesce quasi a frenare la commozione, ora, allunga una mano per porgerle un'ultima carezza.
Ma prima che ci riesca, nella stanza entra sua figlia.
"Grazie per averla tenuta, questi mesi, a New York il cane non potevo davvero portarlo."
"Figurati", risponde Claudio.
"Che faccia che hai", dice, legando la giovane border collie al guinzaglio, "non ti senti bene?"
"No, mi dispiace che te ne vai."
La ragazza sorride, intenerita. "Anche a me dispiace, ma torno domani, a pranzo. Dì a mamma se mi fa la pasta con le melanzane."
"Porterai anche Titta?" Gli è uscito così, senza pensare.
"Sì, se volete."
"Mi piacerebbe. Ci siamo trovati molto bene insieme, magari le faccio fare una passeggiata."
"Sì, ciao, papà."
Un bacio leggero sulla guancia, ma Titta tira il guinzaglio, non vede l'ora di tornare a casa sua. L'ultimo sguardo che lei non gli fa lo riempie di una cupa tristezza.
La porta si chiude.
"Forse non è troppo tardi per prendermi un cane tutto mio", pensa Claudio.
Si siede pesantemente sul divano.
"Ma Titta, Titta è..."
Piange, e si sente solo.

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