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martedì 27 settembre 2011

Punty, in memoria di

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

"Un pomeriggio qualunque a due giorni dal mio matrimonio.
Non sono stati programmati grandi festeggiamenti. Una sala, forse una chiesa sconsacrata, che ho visto solo da fuori, e un ricevimento intimo a casa di amici che hanno un bel giardino. I preparativi li abbiamo adeguati al resto, sono stati senza pretese. In questi ultimissimi giorni vado avanti e indietro per paura che mi sfugga qualcosa. Oggi mia sorella mi accompagna, entra in farmacia e allora penso che anch’io devo comprare una cosa, anche se finora ho fatto finta di niente. Sono passati tre mesi e tre cicli regolari dopo quel giorno.

Chiedo le strisce per l’ovulazione, con tanto di marca. Il farmacista che mi serve dev’essere un praticante. Giovane, belloccio quanto spaesato. Si sbaglia. Mi dà il test di gravidanza di quella stessa marca. Dopo un po’ mia sorella mi dà una gomitata.
“Che stai facendo lì impalata da tre ore? - mi chiede. - Io ho finito.” Dico al ragazzo belloccio e spaesato che quello che mi ha dato non è il prodotto che cerco. Gli rispiego con maggiore chiarezza quello che voglio e lui lo trova. Paghiamo e andiamo via.
Mia sorella e io parliamo di come sta lei, dell’ultima sua storia che ha preso una piega diversa rispetto a quella che si era prospettata all’inizio. La tranquillizzo, provo a dirle le cose giuste. Poi passiamo all’argomento bomboniere: basteranno, dove le mettiamo, lasciamo che gli ospiti le scelgano o le diamo noi all’uscita.
Mi accorgo che non me ne importa. Una grossa parte del mio cervello è concentrata sul test, quello che il ragazzo spaesato mi aveva dato all’inizio e che ho fatto un pomeriggio che sembra lontano. Penso alla tensione, alla pipì che si era paralizzata, allo xanax che avevo preso per calmarmi pensando che, chissà, magari poteva essere l’ultimo. Penso alla scritta INCINTA sul display e a me che dico: “Cazzo”, non sapendo come esprimere in altro modo l’enormità di quello che mi è successo. E poi ci sono le ansie, il non sentirmi all’altezza e, contemporaneamente, quel senso di sana incoscienza mai provato prima.
Le frasi che ho sentito più spesso nell’ultimo periodo:

Devi riprovarci subito.
Succede, succede a tutte.
È successo a mia moglie.
È successo alla mia amica.
È successo a me.
È successo a mia cugina, pensa, lei era già all’ottavo mese, in fondo sei fortunata.

Oggi voglio ignorarle. Voglio sentire fino in fondo il senso di lutto che non ho superato. A due giorni dal mio matrimonio voglio pensare all’immagine del mio bambino immobile sul fondo del mio utero. Voglio pensare all’impulso di schiaffeggiare l’ostetrica che mi diceva: “Può riprovarci” come se lui fosse sostituibile. Lui non lo era e non lo è adesso. Lui - ho sempre saputo che era un lui, anche prima di vedere il referto della villocentesi – era il mio bambino che immaginavo col piedino in bocca e la testa pelata come la mia quando ero neonata, che mi sembrava bellissimo già così com’era, con la testa enorme e gli arti abbozzati.
Lui era il mio Punty, come lo chiamavo all’inizio quando era solo un puntino con un cuore potente il cui battito mi faceva dimenticare tutto il resto, quello a cui sussurravo “Diventa stronzo, così soffri meno”, quello che accarezzavo attraverso la pelle del mio addome che si gonfiava. Non sarà stordendomi con altre cose, altri pensieri, che mi lascerò questa storia alle spalle e non è detto che voglia farlo.
Quello che molti non capiscono quando perdi un bambino è che perdi quel bambino. Comunque vada dopo, il mio Punty non ci sarà più e oggi mi rendo conto che mi manca da morire.
Quello che ho sempre saputo e oggi ho il coraggio di scrivere è che non voglio dimenticarlo."

Clau

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