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domenica 9 ottobre 2011

Il giorno del Signore

Domenica.
Un giorno che gli piace, almeno fino a quando è ora di pranzo. Dopo subentra la lenta attesa della fine del giorno di festa. Verso le cinque, specialmente d'inverno, si è chiesto spesso per quale forza fosse condannato a rovinarsi tanta parte della domenica pensando non al lunedì, ma proprio alla fine della domenica stessa. Un'aspirazione alla fine, in senso metaforico, si era risposto.

Crescendo, aveva articolato meglio l'idea. Godeva della malinconia del pomeriggio domenicale come testimonianza della caducità delle cose terrene. Tutto finisce, anche la domenica. In bene e in male. Finisce il giorno di festa, ma finiscono, prima o poi, anche i dolori.
Ha voluto ribellarsi. Per questo, da qualche mese, ha concepito un rituale che, se non altro, lo pacifica.
La domenica, appena sente adagiarsi dentro di sé la tristezza, inizia a caricare tutti gli orologi che, nel tempo, ha collezionato. Li rimette anche all'ora corretta, perché, dalla settimana precedente, non li ha più toccati e si sono fermati tutti.
Ne ha molti, a carica manuale. Non sono di pregio, sono orologi vecchi, non antichi. Spesso sono brutti, a volte rovinati, col quadrante quasi illeggibile. Non sono particolarmente precisi, salvo alcuni.
Ma tutti ticchettano. Farli funzionare di nuovo gli dà un senso di forza curioso e impagabile, si sente il Dottor Frankenstein che riporta in vita i suoi piccoli mostri.
Ha imparato a svolgere il compito con lentezza, dopo aver disposto gli orologi sul panno verde disteso sulla tavola da pranzo. È fondamentale, infatti, che sistemi l'ultimo quando ormai è passata la mezzanotte, quando è già lunedì.
Dopo aver finito, li mette di nuovo nelle scatole dove erano riposti, mentre il frenetico pulsare degli orologi lo riempie di una gioia strana, placida ma potente. È un coro, quel suono, che sembra ringraziarlo e cantare le sue lodi come Signore del Tempo.
Quando si sveglia, il lunedì mattina, gli orologi cantano ancora.

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