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martedì 25 ottobre 2011

Il lato bello delle cose

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

"- Le avete viste?
- Cosa?
- Queste due figure.
- Quali figure?
- Ci sono due figure fluttuanti. Due ballerine, forse. O due angioletti, per voi che ci credete.
- Non c’è nessuna ballerina e non ci sono angioletti.
- Avete le traveggole, tutti quanti.

Mia madre e zia Rita hanno gli occhi sbarrati. Le mie sorelle, mio cognato e io ridiamo.

- Non vedete neanche questo ospite?
- Non è un ospite – dice mia madre – è il tuo compagno di stanza, il signor Bruno. L’hanno operato ieri, non ti ricordi?
- Non il signore a letto. Questo tizio qui, dico, questo sulla sedia.
- L’importante è che sia un ospite gradito – dice zia Rita.
- Sfotti, sorella, sfotti.
- Allora lo capisci che non c’è nessun ospite – dice mia madre.
- Non sono diventato scemo, se è questo che ti preoccupa.
- Non per questa volta, almeno, pare – risponde lei.
- Sembra tutto reale, è reale, almeno per me. Leggo il giornale e le lettere si animano, s’ingrandiscono, si allontanano. Vorrei che mi portassi la macchinetta fotografica, quella piccola, domani o quando puoi.
- Vuoi fotografare questo albergo a cinque stelle? – sempre mia madre.
- Fai troppe domande, Mari. Sei tu la vera giornalista, l’ho sempre detto.

- L’emorragia è in una zona anomala – dice a me e a Dany un giovane neurochirurgo disponendo le radiografie sullo schermo luminoso. – La zona in cui vedete questa concentrazione scura è quella che trasmette le immagini alla retina. Per questo ha le visioni. Noi pensiamo che sia stato un fenomeno trombotico che si è fermato proprio per l’emorragia, ma dobbiamo fare un’angio tac per confermare la diagnosi e, se necessario, altri esami.
Sembra che sappia il fatto suo, cosa per niente scontata, nonostante il luogo in cui ci troviamo e, cosa ancor meno scontata, è cordiale e risponde con calma e precisione alla doppia raffica di domande con cui lo bombardiamo mia sorella e io.
Tornate in stanza, mia sorella e io spieghiamo il motivo delle visioni e cerchiamo di tranquillizzare gli altri. Poi restiamo soli, i pazienti, lei e io.
Lui muove mani e braccia come se cercasse di afferrare qualcosa.
- Non si toccano – dice – sono ologrammi.
Mia sorella e io cerchiamo di farlo stare fermo, almeno col braccio sinistro, in cui è inserita la flebo.
- Che volete che mi faccia questa cosa? – protesta lui – Sarà acqua fresca. Che ne sanno questi? Non mi consultano, non mi chiedono niente.
- Intanto si consultano fra loro e hanno i tuoi esami.
- Io ho tutto un vissuto di cui loro non sanno niente.
Poi ricomincia a muovere il braccio, solo il destro, però.
- L’ho chiesto, a mamma, di portarmi la macchina fotografica?
- Sì, gliel’hai chiesto.
- Bene.
- Vorresti fotografare quello che vedi? – chiede Dany.
Lui annuisce.
- Però – dico io – temo che la macchina fotografica non le riprenda.
- Già – risponde lui, evidentemente deluso. – Che peccato. Sono bellissime.

Qualche giorno dopo, le visioni sono passate e la diagnosi è più precisa: trombosi venosa del seno traverso di destra. Sto parlando con il primario del reparto.
– Suo padre ha avuto una patologia molto seria. La trombosi venosa è molto più grave di quella arteriosa. – dice – Generalmente è mortale. Fa bene a sorridere, signora. È molto fortunata, lo siete tutti.
Ma io, questo, caro dottore, soprattutto dopo aver sentito papà parlare in quel modo delle sue visioni, lo sapevo già.
Questo, però, non glielo dico."

Clau


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