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giovedì 27 ottobre 2011

Sola andata

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

E’ un ragazzo magro, non molto alto, dal viso pulito, chiaro, bellissimo. In una mano tiene una valigia troppo piccola per il viaggio che deve affrontare. Mi chiede in inglese, con un simpatico accento, se il posto accanto a me è libero. Gli dico “Sì", mi sorride, “Italiana anche tu, eh?”.
Sì, sono Italiana, ma anche la mia carnagione è molto chiara e mi fa passare inosservata. Dopo essersi sistemato mi sorride di nuovo e nell’attimo in cui incontro il suo sguardo, nei suoi occhi rivedo i miei.

“Dove vai?”, sono curiosa.
“A Cambridge. A studiare.” La sua voce è così familiare che mi intimorisce.
“Ma dai? Io University of London, Psicologia.”
“Economia."
Noto con chiarezza che non vuole continuare la conversazione. E’ distratto, triste, o forse solo stanco. Cerca qualcosa nella borsa, ma lo fa solo per farmi smettere di fissarlo. Io non ci casco e continuo a inseguire i suoi occhi, soprattutto dopo aver letto il suo nome sul cartellino che ha legato alla valigia.

Io sono Sofia C., ho 19 anni, fresca di esame di maturità. Ho due valigie, curiosità, coraggio e un biglietto per Londra, sola andata.

Di lui so già che si chiama Giuseppe C., è di qualche anno più grande di me, ha un’eccellente carriera universitaria alle spalle, una borsa di studio e un biglietto per Cambridge, sola andata.
Ci somigliamo: occhi verdi, capelli biondo scuro, molti nei.

Giuseppe non è così timido come si era presentato. Dopo qualche risposta restìa sembra fidarsi di me e mi parla a lungo. Non sa nulla di quello che lo attende, non conosce il college dove alloggerà, né le pratiche burocratiche che dovrà sbrigare.
Io, invece, ho un’idea di tutto di quello che mi aspetta: la sera prima, sono riuscita addirittura a proiettare una figura virtuale di me stessa nella strada della mia nuova casa! Non glielo dico per paura di sembrare scortese, con lui voglio essere solo gentile.

Passa buona parte del viaggio a raccontarmi della passione che nutre per la materia che studia, mi dice che è partito lasciando sua madre e sua sorella in un momento piuttosto difficile e che non potrà sentirle per un po’, finché non si sarà sistemato.

Mi rendo conto che vorrei sapere tutto di lui, ma che già so tutto.

Alle sue domande rispondo con attenzione, non vorrei turbarlo. Non gli dico che una volta a Londra avrò una scheda telefonica che mi permetterà di navigare su internet dal mio smartphone, che potrò parlare con i miei genitori e vederli in webcam. Sono cose che lui sembra non conoscere e io mi sento fortunata.

L’aereo atterra tra gli applausi dei passeggeri italiani. Io e Giuseppe ci sentiamo già inglesi, e reagiamo entrambi con un misto di disgusto e vergogna. Ci slacciamo la cintura, e usciamo nel nuvoloso freddo inglese.

Mi dice: “Ciao, buona fortuna!”; gli faccio un cenno con la mano e lascio che attraversi il muro di nebbia che immediatamente mi impedisce di continuare a seguirlo con gli occhi .

Non gli dico addio perché Giuseppe C. è mio padre e, tra un po’ di anni, ci rincontreremo.

Sofia

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